Giorno di festa, di Jacques Tati

Di Hulot, il postino François, non ha ancora il nome né la pipa, ma ne anticipa il farfugliare disarticolato, l’andatura sbadata, l’estraneità di una fisionomia sempre inadeguata rispetto al mondo

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Quello che ho cercato di fare sin dal principio – da Giorno di festa e perfino dal mio primo corto con René Clément – è dare maggior verità al personaggio comico”. Jacques Tati

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E’ il 1947, forte del successo del corto L’école des facteurs, Jacques Tati decide di girare il suo primo lungometraggio in una comunità che conosce più che bene, il piccolo villaggio di Sainte Sévère-sur-Indre, dove durante la guerra ha trovato rifugio. Da subito prende forma l’idea di Cinema come materia da esplorare e rivoluzionare, Tati abbraccia due macchine da presa, una è in bianco e nero e l’altra ha sopra montata la sperimentale Thomson-Color, una pellicola a colori che, una volta terminate le riprese del film nessun laboratorio sarà in grado di stampare. Solo quasi quarant’anni dopo, grazie al lavoro della figlia di Tati, il primo film a colori francese riuscirà a vedere la luce. All’uscita nelle sale cinematografiche, è il 1949, le immagini di Giorno di festa sono in bianco e nero, ma la ricerca sul cromatismo immaginata da Tati ha lasciato la sua traccia: il paese che va tingendosi di eccitazione con l’arrivo della festa e dei giostranti e, soprattutto, il personaggio del pittore, presenza senza parole, la sua voce sono i colori e il pennello, che con il suo commento figurativo del paese in festa fa da controcampo al racconto orale della vecchina incaricata, capretta al guinzaglio, di portarci per mano alla scoperta del villaggio in cui vive da sempre.

giorno di festaMa la portata rivoluzionaria di Giorno di festa va ben oltre la riflessione di Tati sul quell’elemento, il colore, che, a partire da Mon oncle, diverrà centrale nel suo Cinema. Il genio di Jacques Tati riesce a qui a rielaborare in maniera assolutamente unica un genere, il comico, troppo a lungo dimenticato in Francia (l’ultimo a sperimentarne le possibilità era stato Max Linder). Giorno di festa sgancia la costruzione delle gag dal meccanismo moltiplicativo isolato dal contesto proprio del canone classico della comicità, per inseguire, invece, uno sguardo comico dal sapore documentaristico, complesso e multiplo, capace di affrescare un mondo, la realtà del villaggio di Sainte Sévère e i suoi abitanti, con le loro abitudini e la loro umanità, che alle sue spalle vede proiettata l’ombra della modernità, ovvero l’affacciarsi di un nuovo tempo, quello della velocità, importato dall’oltreoceano.
Il primo passo mosso da Tati in quella incredibile e rivoluzionaria parabola cinematografica “che conduce il mondo antico al mondo moderno”, contiene già la precisa e intransigente idea di una grammatica dell’immagine e del racconto che diverrà un linguaggio cinematografico completamente nuovo. Nelle due ideali metà che compongono il film, il momento della festa e, poi, le disastrose imprese messe in atto dal postino François nel tentativo di eguagliare l’efficienza dei suoi colleghi statunitensi, la narrazione è una linea sottile che cede il passo ad una precisa volontà descrittiva. La ricerca della comicità, anche nella seconda parte di Giorno di festa scandita da un ritmo di gag in crescendo,giorno di festa diventa un tutto organico con la vita che la ospita. Jacques Tati lavora alla costruzione di un corpo comico che “attraversa le inquadrature, non le occupa”, a spostarsi non deve essere la macchina da presa, ma gli attori a muoversi, come dirà poi lo stesso Tati. E per farlo, mette in atto una lucidissima riflessione sulla prospettiva offerta dalla profondità di campo, dalla costruzione dell’inquadrature, mai troppo ravvicinate, che, in una sorta di coralità dove a tutti gli elementi viene conferita la stessa visibilità, cercano la dilatazione dello spazio e del tempo, in modo, spiega Tati, “da dare allo spettatore un’alternativa, qualcos’altro da guardare”. Dilatazione che passa anche attraverso la complessità della componente sonora, capace di andare al di là l’immagine, fino a spingerla oltre i suoi limiti, come nella spassosa gag ritornante del calabrone, tutta giocata sul rumore, o nella magnifica scena del giostraio e la bella Jeanette, dove a far da dialogo di un possibile discorso amoroso sono le battute di un film scappate da dentro un tendone durante le prove di proiezione del cinema itinerante.
Di Monsieur Hulot, il postino di Sainte Sévère, non ha ancora il nome né la pipa in bocca, ma ne tratteggia il farfugliare disarticolato che si confonde, senza mai prevalere, con il tessuto sonoro del film, ne porta già in dote l’umanità gentile, François ripone nella sua borsa la lettera marchiata Jour de Fetea lutto per non rovinare il giorno di festa, ne anticipa l’andatura sbadata, lo strano rapporto con gli oggetti, come nella scena capolavoro della bicicletta che continua a pedalare da sola per le strade, e l’estraneità di una fisionomia sempre inadeguata rispetto alla realtà che la circonda. Anche se François non possiede la radicalità di quella figura aliena che camminerà per il mondo nella sua alterità, a mettere in moto l’esile traccia narrativa di Giorno di festa è proprio l’anomalia della sua presenza. Anomalia che lo rende l’oggetto dei maliziosi tiri orchestrati dai giostrai e dagli abitanti di Sainte Sévère, che passano il tempo a prendersi gioco della singolarità sprovveduta e ingenua del postino. Ed è proprio a partire dai tentativi di François di consegnare la posta “all’americana” e dal gioco comico costruito sullo scarto generato dall’attrito di due opposti, la velocità confusa del nuovo e il respiro vitale dell’antico, che Tati getta le basi per il suo futuro affresco sulla spersonalizzazione imposta dalla modernità.
Jacques Tati non ha dubbi da che parte stare, Giorno di festa si chiude con il postino François che lascia incompleto il suo giro veloce per riprendere il suo posto in un mondo a lui ben più congeniale, quello che ancora non ha barattato la vita con l’efficienza. Il cerchio è completo e il bambino che in apertura inseguiva l’arrivo della festa può continuare a saltellare nel suo tempo spensierato, accompagnando l’uscita di scena dei giostrai.

 

Titolo originale: Jour de fête
Regia: Jacques Tati
Interpreti: Jacques Tati, Guy Decomble, Paul Frankeur, Santa Relli, Maine Vallée
Distribuzione: Ripley’s Film/Viggo
Durata: 84’
Origine: Francia, 1949

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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