GIOVANNA D'ARCO




















































Regia: Luc Besson
Soggetto e Sceneggiatura: Andrew Birkin, Luc Besson
Fotografia: Thierry Arbogast
Montaggio: Sylvie Landra
Musica: Eric Serra
Scenografia: Hugues Tissandier
Costumi: Catherine Leterrier
Interpreti: Milla Jovovich (Giovanna d'Arco), John Malkovich (Carlo VII), Faye Dunaway (Iolanda d'Aragona), Dustin Hoffman (la Coscienza), Rab Affleck (commilitone), Vincent Cassel (Gilles de Rais), Desmond Harrington (Aulon), Timothy West (Cauchon), Tcheky Karyo (Dunois), Bruno Flender (inquisitore di Poitier), Pascal Greggory (duca di Alencon)
Produzione: Patrice Ledoux
Distribuzione: Columbia Tristar Films Italia
Durata: 161'
Origine: Stati Uniti, 1999

Si alimenta furiosamente la Giovanna d'Arco di Besson. Di velocità dirompente e di fuoco divampante. Di improvvisi slanci e di repentini arresti. Cercare un comune denominatore sulle differenze sui vari adattamenti cinematografici della vicenda della Pulzella d'Orléans non è soltanto un lavoro inutile ma addirittura deviante. Anzi, si pu˜ piuttosto evidenziare il contrario. La storia di Giovanna d'Arco ha permesso a determinati autori di "personalizzare" ed "estremizzare" ulteriormente il proprio cinema, da Dreyer (1928) a Rossellini (1954), da Bresson (1962) a Rivette (1994). Dentro Giovanna d'Arco c'è davvero tutto il meglio del cinema di Besson: la dimensione ma non la presunzione da kolossal de Il quinto elemento; l'intensa fisicità e l'appassionato lirismo di Léon; la gabbia oscura (Giovanna d'Arco presso la corte di Carlo VII e in prigione) resa ancora più inquietante dagli accesi e minimi squarci di luce della fotografia di Arbogast, così simile a quei sotterranei metropolitani di Subway. Besson entra davvero dentro il suo film; un "backstage" lo mostra infatti confondersi tra le comparse con la corazza da soldato, durante le scene dei combattimenti, per vivere ancora di più nel cuore della sua opera. Ai suoi detrattori, potrà sembrare un altro esempio del suo compiaciuto narcisismo. Ma questa volta il suo cinema non si guarda ammirato allo specchio – impressione che aveva già dato in passato – ma si ciba continuamente di una visionarietà esibita e potente, visionarietà così ricreata (il coinvolgente inizio con Giovanna bambina che corre in mezzo ai prati, mentre sopra di lei un cielo così finto le regala gli ultimi squarci di "troppa luce"), grazie alla quale l'occhio penetra nella testa e nei processi mentali in cui una folle esaltazione prevarica di gran lunga su forme (tentate, quasi rinnegate) di santificazione. Scorre la Storia dentro l'opera di Besson. Ma non quella scritta dei libri o quella didascalica di certi (tele)film biografici. La didascalia iniziale introduce in un preciso contesto storico, ma poi il film di Besson (s)piazza quel Tempo per farsi vicenda "senza Tempo" in cui Giovanna d'Arco diventa eroina universale, così secolare e così moderna, una Nikita ancora più autolesionista, in cui il volto e il corpo di un'aggressiva Milla Jovovich vengono definiti e differenziati da uno sguardo colmo di inconsueto calore.
Simone Emiliani
 

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