Giri/Haji – Duty/ Shame, di Julian Farino e Ben Chessell

Su Netflix la serie tv ambientata tra Londra e Tokyo. Un commissario giapponese vola a Londra per cercare il fratello membro della Yakuza. Uno spaccato di vita nell’alienazione della metropoli

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L’avvento dello streaming su Netflix ha cambiato drasticamente il nostro modo di fruire il (post)cinema. E questo ormai è un dato di fatto. Ma tra i motivi di questa poco originale considerazione forse andrebbe annoverato un fatto assai più interessante, che è il progressivo avvicinamento del pubblico generalista (ammesso che esista ancora…) a cinematografie in passato ritenute ostiche, colpevolmente discriminate da meccanismi di distribuzione del film che troppo spesso hanno sottostimato le capacità di fruizione (o semplicemente i gusti) del cosiddetto spettatore medio. 

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Seppur con lentezza pachidermica, qualcosa sembra muoversi anche dalle parti di Los Gatos. Già nel 2017 il colosso dello streaming puntava forte su Okja, girato proprio da quel Bong Joon-ho pluripremiato a Cannes e agli Oscar per Parasite. Ed ancora, altro lavoro da tenere d’occhio è il ben più recente A Sun di Chung Mong-hong.
Insomma, il mondo occidentale sembra volersi aprire finalmente ad usi e culture di latitudini altre. E forse un’ulteriore dimostrazione ti questa anima sempre più globetrotter sono gli innumerevoli format dedicati al cibo di strada di tutto il mondo o anche gli stand up comedian di ogni nazionalità che insieme coabitano sotto il tetto di casa Netflix (dal sudafricano Trevor Noah al malesiano Ronny Chieng).

Appartiene a questo filone di progressiva riscrittura antropologica dell’intrattenimento anche Giri/Haji – Duty/ Shame, serie co-prodotta a metà tra il Giappone ed il Regno Unito disponibile per gli abbonati da ormai qualche mese.
Prodotta da Sister Pictures – gli stessi di Chernobyl e Gang’s of London, con cui Giri/Haji ha più di un punto in comune – questa serie da 8 episodi è un interessante intreccio tra la tradizione crime anglosassone ed i film giapponesi sulla Yakuza.

Kenzo Mori è un investigatore di Tokyo che improvvisamente è costretto a partire per Londra sulle tracce del fratello Yuto, accusato di aver ucciso il nipote di un membro della mafia giapponese.

giri/haji

Quando uscì nel Nel Regno Unito,  BBC Two decise di spalmare gli episodi di Giri/Haji proponendo un solo episodio a settimana, in modo da sfruttarne a pieno la durata di ogni singola puntata (da circa un’ora l’una).
Perché ciò che si può subito dire di questa serie girata da Julian Farino e Ben Chessell è che non si presta facilmente a bulimiche sessioni di binge watching. Che non è necessariamente un demerito.

Una prima giustificazione a tale renitenza verso irrefrenabili visioni è il fatto che la sceneggiatura di Joe Barton deve gestire tantissimi (forse troppi!) personaggi, primari e secondari. Tra i meglio costruiti bisogna citare sicuramente il detective Sarah Weitzmann, ragazza scozzese vittima della solitudine ed alle prese con imbarazzanti appuntamenti rimediati su qualche dating app.
Stessa emarginazione subita da Rodney, prostituto omosessuale di Soho la cui stabilità è sempre più compromessa dalla cocaina.
Londra in Giri/Haji è una città solo apparentemente inclusiva. Le lucine romantiche che decorano i pub del centro celano in realtà un viavai di persone ben più aride, che faticano a trovare una propria dimensione nella sempre più psichedelica giungla cittadina.
Così, la serie di Farino e Chessell si accende quando indaga su queste singole esistenze, quando cioè utilizza lunghi flashback per rendere ancor più tridimensionali i caratteri che compongono la storia. Come nel quarto episodio, il migliore dell’intera striscia, che riprendere la struttura di Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera per raccontare il passato di Kenzo, Yuto e Sarah, seguendo il corso delle stagioni.

È un cinema di sovrabbondanza quello proposto da Netflix in questa serie. In cui criminalità e giustizia, cultura e mafia, dovere e vergogna si mescolano a differenti latitudini, secondo diverse deformazioni dello schermo. La ratio del mascherino cambia in base alla consistenza temporale del ricordo.

Così come la colonna sonora, che sembra un’infinita jam session a cui prendono parte Gotye e Michael Kiwanuka, John Coltrane e Gigi D’Agostino (le cui sonorità su Netflix riecheggiano anche in Diamanti Grezzi).
È un meltin’ pot letale, in cui la prima regola è cercar di portare a casa la pelle.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.4 (10 voti)
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