Gli Indesiderati d’Europa, di Fabrizio Ferraro

L’ultimo di Ferraro mette al centro gli “indesiderati” erranti ai margini della Storia, in fuga dai totalitarismi europei, tra i quali W. Benjamin. Opera rigorosa, austera, forse troppo liristica

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Sur la ligne frontière. Così – liminare – si muove il film di Fabrizio Ferraro; così i suoi personaggi “indesiderati” camminano ai margini della Storia che (ri)torna ciclicamente al presente con sembianze immutate: per i bordi delle montagne – tra la Catalogna e i Pirenei Sud-orientali – , ai margini delle strade deserte, lungo i confini delle masse d’acqua che distanziano lo spazio. Prima – nel 1939 – saranno i profughi in fuga dalla Guerra civile spagnola ad attraversare il sentiero della cosiddetta “Route Lister”; poi, solo un anno dopo, sarà la volta di un gruppo di antifascisti europei, stranieri ed ebrei provenienti dalla Francia occupata dal nazismo e, tra di essi, anche il filosofo tedesco Walter Benjamin (Euplemio Macrì). In due opposte direzioni quel sentiero diventa, ne Gli Indesiderati d’Europa, sorta di unico “cammino della speranza” che il regista Ferraro attraversa da ambo i lati (in montaggio “alternato”) con i suoi carrelli, seguendo da vicino (accanto o da dietro) il movimento umano in cerca della libertà perduta.

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In un bianco/nero austero e fermo, tra i molteplici suoni della sopravvivenza – oltre alle musiche di John Cage spopolano rumori d’acqua, venti, fuochi notturni scoppiettanti, versi di uccelli – , le figure silenti protagoniste della traversata vengono assorbite dall’anonima natura circostante, ove Ferraro le lascia andare al termine di ogni piano-sequenza, in uno spazio già destinato alla scomparsa. Il tempo diventa un cortocircuito di molteplici momenti, ripresi anche dal passato – la decisione di attraversare la frontiera e la pianificazione del tragitto da parte del gruppo “francese” – e sempre proiettati in direzione futuro, ove incontreranno la Storia che, a sua volta, avrebbe raccontato di altre milioni di migrazioni, uguali e diverse, avvenute per terra e per mare.
La figura del filosofo Benjamin, alla quale Ferraro rivolge uno sguardo più attento, resta bloccata al centro di un profondo, essenziale, “anacronismo”: la decisione di intraprendere l’avventura verso la Spagna – e poi salpare in direzione dell’America – si arresta di fronte alle più concrete difficoltà del viaggio, o al cospetto di una più grande consapevolezza interiore: «Il n’y a pas de progrès…». Negli scritti dell’autore – e, forse, nelle intenzioni dello sguardo dietro la macchina da presa – ritroviamo la storia di un destino universale: la prigionia dell’uomo, orgoglioso di un finto progresso, che rimane intrappolato nelle milioni di copie di sé sparse nell’universo, in queste terre che sprofondano nelle fiamme che le rinnovano, come recita la lezione medesima di Auguste Blanqui, invocato nel finale dal filosofo estenuato. Non c’è alcun turning point per Benjamin, nessuna reale certezza alla quale aggrapparsi, se non quella di una morte imminente, non intesa come negazione o rifiuto di ciò che accade, quanto un modo per riportarne l’essenza stessa nel pensiero, quest’ultimo considerato in continuo mutamento di forme.

Ferraro sembra quasi afferrare per le spalle il corpo abbattuto del filosofo che arranca tra le montagne, in un fuori contesto assoluto; e sembra farlo nell’intenzione di riportarne a galla stralci – di certo condivisi – del pensiero sulla storia, ma col rischio di lasciarli nei fatti solo “sulla carta”, faticando a caricare del senso dovuto quelle immagini che, al contrario, avrebbero potuto essere materia preziosa sulla quale avviare una riflessione. La figura di Benjamin risulterebbe essere il veicolo di un film che, nei suoi meandri, mostra un eccesso di “lirismo”, seppure curato in ogni aspetto e rigoroso nei tanti piani-sequenza che si susseguono. Non sarà, dunque, la presenza di illustri filosofi, posti a centro schermo a decantare complesse teorie sul mondo né esagerati virtuosismi tecnici, a certificare l’impegno intellettuale dell’opera; bensì saranno le immagini cariche di senso puro, quelle poche autentiche che sappiano parlare da sole allo spettatore, a suggerire idee e poetica autoriale. Perché tutto nasce e finisce con la sensibilità dell’immagine.

 

Titolo originale: Les Unwanted de Europa
Regia: Fabrizio Ferraro
Interpreti: Euplemio Macrì, Catarina Wallenstein, Marco Teti, Pau Riba, Bruno Duchêne, Vicenç Altaió, Raphaël Bismuth-Kimpe, Marta Reggio
Distribuzione: Boudu in collaborazione con Zomia
Durata: 111′
Origine: Italia, Spagna, 2018

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