Gli Stati Uniti contro Billie Holiday, di Lee Daniels

Un biopic molto concentrato sui particolari scabrosi della vita sregolata di Lady Day, ma col merito di riportare al centro del dibattito una figura immortale ma poco ricordata.

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Southern trees bear a strange fruit
Blood on the leaves and blood at the root
Black bodies swingin’ in the Southern breeze
Strange fruit hangin’ from the poplar trees 

Negli ultimi anni un numero sempre maggiore di registi afroamericani ha avuto la possibilità di imporre ad Hollywood una modalità di racconto puramente black, nel solco già tracciato in precedenza da autori come Spike Lee e Melvin Van Peebles. Ciò che si percepisce chiaramente è l’esigenza di riappropriarsi della propria storia e dei propri simboli, raccontando in prima persona e con il proprio linguaggio, senza sottostare alle castranti logiche degli studios hollywoodiani. Già Shaka King lo scorso anno con Judas and the Black Messiah aveva centrato perfettamente il discorso elevando, a decenni di distanza, un leader del Black Panther Party come Fred Hampton a simbolo del black power statunitense. Come Shaka King anche Lee Daniels decide di raccontare la vera storia di un simbolo dei diritti civili afroamericani, a partire dai tradimenti, gli abusi e le persecuzioni patite a causa della sua posizione politica. Gli Stati Uniti contro Billie Holiday approfondisce una figura indecifrabile e difficile da collocare, una cantante dalla voce inconfondibile la cui tragica fine ha segnato indelebilmente le coscienze di intere generazioni di ammiratori.

A New York, nel 1939, il Cafè Society era uno dei pochi locali in cui bianchi e neri potevano sedere gli uni di fianco agli altri. In quel locale si esibiva spesso Billie Holiday (Andra Day), dai più chiamata Lady Day, una giovane cantante afroamericana sensuale e sfrontata, la quale aveva l’abitudine di chiudere i suoi concerti con una canzone di forte protesta. Strange Fruit, scritta dal russo (e quindi “comunista”) Abel Meeropol, è la rappresentazione degli effetti di un linciaggio negli stati del Sud, una visione di corpi straziati e penzolanti come frutti dagli alberi. Un brano capace di scuotere gli animi e per questo motivo naturale inno dei diritti civili. Lady Day è tenuta sotto stretta sorveglianza da Harry Anslinger (Garrett Hedlund), capo dell’Ufficio narcotici dell’FBI, perché preoccupato dalla carica eversiva del brano. I federali decideranno di strumentalizzare la tossicodipendenza di Billie facendo di lei il capro espiatorio di una dura guerra alla droga. Una vera e propria persecuzione per impedirle di cantare quella canzone. Billie non smetterà mai di lottare, neanche nel letto d’ospedale dove morirà sola ed incarcerata.

Gli Stati Uniti contro Billie Holiday è il ritratto di una donna fragile e problematica, con un passato difficile capace di influenzare tutta la sua esistenza. Le relazioni con uomini violenti e perlopiù criminali, la dipendenza da alcol e oppiacei, sono tutti sintomi di un malessere profondo e dell’incapacità di amare in primis se stessa. Ma Lady Day era molto più di questo. Se nella vita privata non riusciva ad avere equilibrio, sul palco aveva la capacità di brillare come nessuno prima di lei, un dono che la renderà un simbolo immortale. Il biopic di Lee Daniels si sofferma molto sulle fragilità della protagonista e su ogni particolare scabroso della sua vita sregolata, mentre tralascia il vero e proprio approfondimento sul personaggio storico. La tossicodipendenza e ogni atteggiamento autodistruttivo nelle sue relazioni amorose e sessuali sono riportate morbosamente quasi a sovrastare ogni altro elemento. Daniels e la sceneggiatrice Suzan Lori-Parks (premio Pulitzer per la drammaturgia nel 2002 per Topdog/Underdog) hanno deciso di insistere sugli aspetti più spettacolari a scapito di una riflessione più organica sul personaggio stesso. Nonostante la semplicità della struttura narrativa, Gli Stati Uniti contro Billie Holiday si regge sulla passionale interpretazione di Andra Day, debutto cinematografico che le è valso il Golden Globe e una nomination ai premi Oscar. L’attrice nasce come cantante, ed infatti è proprio sulla voce che compie il lavoro più significativo, un timbro rauco e graffiante quasi indistinguibile dalle poche testimonianze “non cantate” di Lady Day.

Come in Judas and the Black Messiah, anche in questo caso l’FBI ha utilizzato un infiltrato afroamericano per sorvegliare dall’interno ed incastrare il soggetto definito eversivo e pericoloso. Il “giuda” O’Neal (Lakeith Stanfield) del film di Shaka King vivrà la sua esistenza divorato dal senso di colpa fino al suicidio, mentre Jimmy Fletcher (Trevante Rhodes), il traditore di Billie Holiday, si pentirà con molto anticipo, instaurando una relazione con la stessa cantante. Jimmy intraprende insieme allo spettatore un graduale processo di presa di coscienza, smascherando finalmente le vere intenzioni del governo: “This drug war is just a war on us”. La rappresentazione del “traditore” della razza rientra nella narrazione black fin dal celebre discorso di Malcom X del 1963 “Message to the Grass Roots”. In quell’occasione Malcom X ha individuato nella figura dell’house negro lo schiavo ben vestito e ben nutrito responsabile della casa del padrone, di conseguenza molto più vicino a lui che ai suoi fratelli nei campi. Questi individui venivano usati per tenere sotto controllo la massa e renderla passiva, quindi non violenta. I rappresentanti del black cinema contemporaneo sembrano voler affrontare proprio questo discorso, sollecitando la comunità a rimanere vigile e coesa in un paese in cui non si è mai smesso di lottare per i medesimi diritti civili per cui cantava ostinatamente Billie Holiday.

Il continuo dialogo tra storia e attualità reso tramite l’innesto di immagini di repertorio, non si nota in alcun modo nella costruzione narrativa del film, il quale resta perlopiù ancorato alla caratterizzazione di Billie e dei suoi amici. Oltre alle coinvolgenti scene di canto, quelle più riuscite sono ambientate tra backstage e stanze d’albergo, dove i dialoghi si fanno serrati e allucinati, situazioni in cui il regista ha potuto sfruttare la sua predisposizione al lavoro sul gergo. Tutto ciò che gira intorno a Billie resta appena accennato, come il rapido riferimento alla relazione con Tallulah Bankhead (Natasha Lyonne), una semplice allusione alla sua bisessualità più per cronaca che per fini narrativi. Il vero merito di Daniels e del suo Gli Stati Uniti contro Billie Holiday resta quello di aver riportato al centro del dibattito una figura unica ma poco ricordata, emblema della lotta per i diritti civili ed eterna ispirazione per le nuove generazioni.

 

Titolo originale: The United States vs. Billie Holiday
Regia: Lee Daniels
Interpreti: Andra Day, Trevante Rhodes, Garrett Hedlund, Natasha Lyonne, Tyler James Williams, Tone Bell
Distribuzione: BIM
Durata: 130′
Origine: USA, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
3.08 (12 voti)
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