Golda, di Guy Nattiv

Al corpo di Meir-Mirren è delegato il compito del successo. In questo modo però, la questione israelo-palestinese viene totalmente appiattita. Berlinale Special

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C’è un senso di pesantezza che pervade tutto Golda. Quella di un corpo malato che si trascina gravosamente per i corridoi, da una stanza all’altra, che sale e scende a fatica le scale o si alza e si stende sul letto. Le spalle ricurve, le gambe gonfie, i polmoni ostruiti dal catrame e colpiti dal cancro. La pesantezza del ferro, di questa Iron Lady dal carattere risoluto e il corpo fragile. Ma Golda Meir, quarta presidente dello Stato d’Israele e prima donna a ricoprire la carica, con la lady di ferro britannica condivide solo l’assoluta abnegazione alla propria carica. Per il resto, gli eventi di Golda si concentrano tutti nei venti giorni del conflitto dello Yom Kippur del 1973, quando Israele subì un attacco a sorpresa da parte della coalizione araba formata da egiziani e siriani. Ad interpretare Golda Meir una Helen Mirren irriconoscibile sotto il trucco prostetico, ben lontana dallo splendore di Queen Elizabeth o dalla cotonata Margaret Thatcher di Meryl Streep. Ma la leader di Nattiv sembra non avere né passato né futuro. E ritorna qui il senso di pesantezza, di morte, che accompagna tutto il film. Di sacrificio ultimo ed inevitabile, come quello a cui Meir fu costretta nel condurre le operazioni militari durante il conflitto del Kippur, che portarono alla vittoria ma causarono la perdita di migliaia di soldati. La guerra resta tutta in fuoricampo, e Meir vi assiste dalla war room, attraverso le esplosioni, le urla strazianti, gli spari e le comunicazioni via radio. Avvolta – e annebbiata – dalla coltre di fumo delle sue sigarette, allo stesso modo i suoi soldati si ritrovano intrappolati e offuscati dai bombardamenti nemici.

Ma al di là della meticolosa ricostruzione storica, fatta di documenti e dati, numeri e cronologie, che la stessa Meir segnava ossessivamente sul suo taccuino e riportati poi con gelida precisione e dovizia in sede di commissione d’inchiesta, il film non trova mai il coraggio di indagare l’ambiguità di questa figura chiave, contraddittoria e critica, le cui scelte ebbero un effetto cruciale sulla situazione geopolitica mondiale. In scena resta sempre e solo lei, Golda-Mirren, a cui è demandato il compito di portare sulle proprie spalle l’intero carico, decisionale per l’una e recitativo per l’altra, la responsabilità della riuscita, il successo della missione. Un’impresa possibile date le strabilianti capacità di Meir-Mirren, ma al contempo un’arma a doppio taglio nell’economia del film, che perde così di contesto e profondità. Nattiv isola il conflitto del Kippur, susseguito a decenni di attacchi e offensive, per celebrare la sua leader, tralasciando in questo modo la complessità della questione israelo-palestinese e il processo storico e politico che portarono alla stessa guerra, di fatto appiattendo le incongruenze delle discutibili manovre militari israeliane.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
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Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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