Gotti – Il primo padrino, di Kevin Connolly

A nulla servono gli sforzi di John Travolta, in un accumulo senza pathos né epica di fatti e soprattutto volti, Kevin Connolly non riesce fare i conti con la portata immaginifica di John Gotti

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Le immagini delle ventidue limousine, delle diciannove auto con i fiori, insieme ad un’enorme folla per le strade del Queens ad acclamare il passaggio della bara d’oro di John Gotti, la dicono lunga sullo status del padrino di New York, il boss a capo del clan Gambino dal 1985 capace di imporre alla città una pax mafiosa, ribattezzato dalla stampa statunitense ‘The Telflon Don’ per la sua capacità di non farsi inchiodare in tribunale, almeno fino al 1992, quando viene riconosciuto colpevole di tredici capi d’accusa e condannato al carcere a vita. Ci penserà un cancro, nel 2002, a ridurre la sua pena.

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Certo è che per girare oggi un biopic su John Gotti, Kevin Connolly non avrebbe dovuto abdicare in toto alla riflessione sul cortocircuito tra vita e cinema aperto da quel capo dei capi in grado, forse per la prima volta, di sfruttare tanto la fedeltà alle tradizioni e codici mafiosi quanto di cavalcare le dinamiche della società dello spettacolo, fino a cucirsi addosso, a partire dall’immagine tutta hollywoodiana del gangster, il mito di eroe del popolo. Un personaggio, quello del gangster pubblico, come mostrano anche le immagini di repertorio che innervano il film, subito reclamato indietro dalla macchina del cinema, non solo con Armand Assante prima o Tom Sizemore dopo nel ruolo di John Gotti in due film per la tv, ma anche come corpo ricalcato da Joe Mantegna ne Il Padrino parte III o da Robert De Niro per il suo Paul Vitti di Terapia e pallottole. Un’incapacità, quella di Connolly, di fare i conti con la portata immaginifica del personaggio che racconta, a nulla servono gli incredibili sforzi, talvolta al limite dell’istrionesco, del buon John Travolta, alla quale si devono aggiungere le vistose mancanze, come l’inspiegabile assenza nel film della città e delle strade, frutto di un progetto nato sotto una cattiva stella. Dal 2010 la produzione di Gotti – Il primo padrino passa di mano in mano, si sfilano via via tanto registi, da Barry Levinson fino a Joe Johnston passando per Nick Cassavetes, quanto attori, Al Pacino, Ben Foster, Joe Pesci.

gottiIn una costruzione che, ostinandosi a voler abbracciare troppe traiettorie, va disperdendo il suo potenziale nell’accumulo senza pathos né epica di fatti e soprattutto di volti, Kevin Connolly si gioca maldestramente la carta dell’incrocio tra il passato, l’ascesa di Gotti, e il presente, quell’ultimo incontro, in carcere, tra padre e Gotti Junior durante il quale il padrino di New York consegna al figlio il suo testamento, un codice d’onore da trasmettere di generazione in generazione, per continuare a combattere contro il sistema. Il tentativo di strizzare l’occhio a Quei bravi ragazzi scegliendo di affidare a Gotti il ruolo di narratore, finisce per rendere ancor più evidente il deragliamento del film. Non c’è alcuna traccia in Gotti delle porosità dell’universo famigliare scorsesiano come luogo imploso su se stesso, lo sguardo in camera di John Travolta non riesce mai a diventare un portale d’accesso verso un paesaggio dai contorni contraddittori. Piuttosto, il film si accontenta della letteralità acritica, che a tratti assume pericolosamente i toni dell’apologia, di un concetto di famiglia dove, come avrebbe voluto mostrare la disastrosa sequenza del battesimo mafioso, ennesimo passo falso di Connolly che, facendone un semplice elemento di passaggio, riesce nell’impresa di depotenziarne la portata, non esistono differenze nelle regole d’ingaggio tra i legami di sangue e quelli di ‘Cosa nostra’.

Titolo originale: Gotti
Regia: Kevin Connolly
Interpreti: John Travolta, Kelly Preston, Stacy Keach, Pruitt Taylor Vince, Spencer Lofranco, Chris Mulkey, Leo Rossi, Jordan Trovillion, William DeMeo, Chris Kerson
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 112’
Origine: USA, 2018

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