Greedy People, di Potsy Ponciroli

Ancora un film di spazi invasi e “infettati” da altri immaginari, dopo il West di Old Henry. Fino a spingere noi spettatori fuori dai nostri ricordi, fuori dal cinema. RoFF19. Progressive Cinema.

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Cinema fuori dal cinema, ma anche prima o dopo il cinema stesso. Ponciroli ci aveva già provato con Old Henrymicrowestern tutto in un unico set che giocava con il suo immaginario, quasi a rendersi conto di far parte di un contesto (anche sentimentale), di un linguaggio più ampio nel momento in cui una minaccia arrivava a turbare la quiete del protagonista e lo costringeva a prendere atto della sua natura profonda.

Potsy Ponciroli pare ossessionato dalle interferenze, affascinato dai momenti in cui interi universi di segni entrano in contatto con spazi all’apparenza loro estranei e, soprattutto, dalle conseguenze di questo impatto più o meno violento.

Nel caso di Greedy People la linea, in realtà, non cambia, semmai si espande nello spazio, dalla radura dove trovava casa l’Henry del film precedente ad una placida cittadina dell’America rurale (ma sempre ridotta a 3/4 set al massimo) dove prenderà servizio come agente di polizia il giovane e ingenuo Will Shelley. A istruirlo nel mestiere il rude ma tutto sommato simpatico agente Terry, che non ci mette troppo a decantare la generale pace della zona, caratterizzata da livelli minimi di delinquenza. Tutto cambia, però, quando, a causa di un banale malinteso, Will ucciderà per sbaglio una donna in casa sua e troverà nel suo salotto una borsa contenente milioni di dollari. I due agenti decidono di nascondere il bottino e di gettare la colpa dell’omicidio su altri sospettati ma l’avidità avrà preso la meglio e metterà in moto una serie di conseguenze inarrestabili.

A cambiare è però anche il “movimento” dell’immaginario, che se prima si avvicinava dall’esterno all’interno ora sembra soprattutto un fatto virale, una ferita scoperta che infetta, trasfigura (come il volto di Will, caratterizzato da un orzaiolo sempre più evidente, metafora forse un po’ troppo scoperta della sua lenta discesa nel suo personale lato oscuro) la tranquilla vita di provincia.

Greedy People pare un film dei Coen calato in uno spazio non preparato ad accogliere. Tuttavia, quel tipo di linguaggio, quelle tensioni, oppure, ancor meglio, sembra un film ‘alla Coen’ quasi costretto ad “attivarsi” prima del tempo, magari aiutato dall’atteggiamento di certi personaggi, tra Terry (Joseph Gordon-Levitt forse nel ruolo più borderline della sua carriera) ed Wallace Cletlo di Tim Blake Nelson che sembrano davvero citazioni, residui, dettagli, legati alla stessa provincia da cui proviene una storia come quella di Fargo.

Greedy People

Ma l’infezione è un processo violento, quasi fisico, aggressivo e così a persistere, al di sotto del gioco ricombinatorio da esercizio di scrittura, più che il giocoso gusto per il grottesco o la solita riflessione sui segreti delle piccole comunità americane c’è una sorta di amarezza di fondo, uno sguardo senza speranza gettato sulla storia e sui suoi protagonisti, una contemplazione del caos insensato che governa la nostra quotidianità. Un po’ come se l’interferenza avesse eliminato anche i filtri della finzione con cui di solito elaboriamo certi abissi che a volte incrociamo con la coda dell’occhio.

Probabilmente il conflitto con l’immaginario si acquieta un po’ troppo presto. La sensazione è che nella seconda parte Greedy People diventi soprattutto un affettuoso omaggio a quel cinema fino a quel momento visto solo come elemento alieno, appassionato, competente, ma a tratti prevedibile.

Forse fa tutto parte del gioco, quasi fosse un diversivo. Perché nel lungo ultimo atto probabilmente Greedy People torna a tirare in ballo la nostra memoria emotiva, i modi in cui la tradizione finisce per legarsi ai nostri ricordi, alle nostre attese. Ecco, da questa prospettiva qualcosa sembra rompersi volutamente. Perché il pulp cercato, evocato dal film è di quelli solo superficialmente ironici, assurdi, in realtà è oscuro, cinico, senza rete, quasi insensato, se lo si vede da lontano. Come a volerci sbalzare fuori dalla memoria, fuori dai ricordi, riscriverli cambiandoli di segno, lontano dalle immagini e dal cinema, ma imprescindibilmente legati ad esso.

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
1 (1 voto)
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