Greta (I am Greta), di Nathan Grossman

Greta (I am Greta) insiste sulla straordinarietà del personaggio, ma forse era più necessario un tipo di racconto relativo ai problemi che l’attivista mette in luce. Fuori Concorso

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Con Greta (I am Greta), documentario Fuori Concorso a Venezia77, Nathan Grossman segue la giovane attivista svedese Greta Thunberg dagli albori della sua battaglia per risvegliare le coscienze umane sulle condizioni climatiche del nostro pianeta. Il regista svedese osserva la ragazza da vicino, ci mostra la sua quotidianità sovrapponendo le immagini al voice over della stessa Greta che si racconta: parla della sua forma di autismo, la sindrome Asperger, del  rapporto con la famiglia e col padre nello specifico che la accompagna e la sostiene nei suoi giri per il mondo, fra conferenze sul clima e incontri con leader politici. Grossman insiste sui primi piani, indaga da vicino il volto e il corpo, deciso a mostrare la forza che emerge dalle fragilità, sottolineate con violenza dai media e dai politici. L’emotività della ragazza e la sua isteria ad esempio, entrambe caratteristiche associate (sempre con un filo di  disdegno) al genere femminile.
La ragazza sciopera da sola un venerdì fuori dalla scuola dando inizio così al movimento giovanile Friday for Future. Da lì è un crescendo di notorietà, di riflettori puntati, in cui la Greta si fa forte della vicinanza del padre e con caparbietà, porta avanti la sua battaglia che nel documentario di Grossman trova il suo culmine con la traversata in barca a vela dalle coste inglesi fino a Manhattan, New York. Uno dei momenti più interessanti di Greta (I am Greta) sul piano visivo, è quando Grossman riprende lo sfinimento della ragazza durante la traversata, mentre registra il suo diario al cellulare e il vento e l’oceano colpiscono con potenza l’imbarcazione. Un gesto, quello di arrivare negli Stati Uniti senza prendere l’aereo, prettamente simbolico per Greta, che si assume il compito di “dimostrare quanto una vita sostenibile non sia più possibile”. E a New York, al Summit per il clima, ecco il discorso divenuto più famoso, per l’indignazione, la rabbia e la drammaticità con cui è stato pronunciato.

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Nei documentari, così come in tutti i racconti (i biopic o i racconti mediatici per dirne due), conta  l’angolazione da cui si decide di raccontare i fatti. Grossman racconta Greta, insistendo ancora una volta sulla persona e sulle sue caratteristiche straordinarie, come la giovanissima età e il morbo di Asperger che la rende così determinata (“Tutti dovrebbero avere un po’ di Asperger dentro di loro” dice ad un certo punto Greta).  Viene da chiedersi però se un ulteriore focus sulla sua straordinarietà, sia davvero necessario e utile. Perché il racconto che da sempre ci viene fatto su Greta, rischia di  distogliere l’attenzione dalle questioni che questa giovane smuove con indignazione, questioni in cui il cambiamento climatico è solo la punta dell’iceberg. Il modo di vivere a cui la ragazza fa riferimento ad esempio, negli anni sempre più incentrato sull’accumulo, pericolosamente mascherato da finto benessere. E ancora il fatto che potrebbe esser troppo tardi non solo per il clima, ma in primis per cambiare un sistema ormai radicato, se non con una virata potentissima che scuota tutto dalle fondamenta.
Rabbia e indignazione di una nuova generazione, questo uno dei punti più interessanti, a cui il documentario accenna forse troppo velocemente. Una generazione che come tutte eredita una realtà e si ritrova a vivere in un mondo decisamente un po’ ammaccato. Un tipo di racconto necessario, in un momento in cui superficialmente queste generazioni vengono considerate morte politicamente, “perse” nel cyberspazio. La cui coscienza politica invece è semplicemente cambiata in modi che non possiamo immaginare, proprio per via del cyberspazio probabilmente (pensiamo a Feroza Aziz, la ragazza che ha finto un make up tutorial su TikTok per eludere la censura e denunciare i lager cinesi e le torture ai musulmani uigiri)
Ma semplicemente, questo su Greta, sarebbe stato un altro film. E viene da pensare anche ad Chiara Ferragni – Unposted, che sceglieva di nuovo solo un punto di vista, sacrificandone (sempre ammesso che questo sia il termine giusto) altri, magari non più interessanti ma sicuramente più necessari.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.8 (5 voti)
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