Gretel e Hansel, di Oz Perkins

La fiaba tradizionale dei fratelli Grimm riletta attraverso uno sguardo sul presente che disattende le aspettative comuni legate al genere, mettendo in scena una storia di emancipazione. In sala

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Perché Streghe, la popolare serie ideata da Constance M. Burge ormai più di vent’anni fa, è ancora così amata da generazioni diverse e vanta una nutrita comunità di ammiratori che chiedono un ritorno delle sorelle Halliwell in un film-evento che magari renda giustizia a chi non ha sopportato l’uscita di scena di Shannen Doherty? Una delle risposte è nelle parole del produttore esecutivo E. Duke Vincent, il quale propose che la storia fosse non su “tre streghe che sono sorelle, ma su tre sorelle che sono streghe”. Eccola lì l’intuizione che si sarebbe rivelata fondante di una narrazione che sempre più consapevolmente abbraccia il corpo femminile per liberarlo da una rappresentazione ordinaria e, a volte, mortificante – “the power of three will set us free“ – e dargli la possibilità di manifestare apertamente tutto il potenziale sopito.

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Gretel e Hansel già nel titolo anticipa questa rivoluzione portando in primo piano il nome e di fatto la presenza della protagonista – una Sophia Lillis molto mascolina che ricorda la Beverly Marsh di Muschietti. Del resto la fiaba, essendo vicina alla tradizione orale, è un testo che si piega facilmente alle esigenze dei suoi nuovi autori: Perkins e il co-sceneggiatore Hayes hanno riscritto i ruoli e invertito le parti mantenendo un’ambientazione che non fugge il suo tempo pur essendo irrimediabilmente figlia del nostro. È Gretel a essere la sorella maggiore e a occuparsi del fratellino; l’incontro, e scontro, con la “perfida” strega (Alice Krige) non è la classica lotta del bene contro il male, viene anzi inserito all’interno di un percorso che porta la protagonista a emanciparsi, a trovare la forza di abbracciare un dono con cui vive da quando era bambina, considerato dagli altri una maledizione. L’uccisione della strega, che nei Grimm ristabiliva una ritrovata armonia familiare, viene riletta come un sacrificio indispensabile che permette a Gretel di passare la soglia dell’adolescenza e acquisire consapevolezza del suo potere in quanto donna.

Dal suo esordio nel 2015 con February, Perkins si sta confrontando con l’horror in maniera personale – con tutte le possibili riserve del caso – disattendendo le aspettative comuni legate al genere: possessioni ed esorcismi, case infestate, il folklore dalle tinte crude sono pretesti per raccontare altro, perlopiù un senso di perdita che spinge i personaggi a misurarsi con demoni, fantasmi, forze antiche e oscure che sono esseri solitari piuttosto che soprannaturali. Allo stesso modo, lo sguardo dello spettatore vive di attese più che di sorprese: nella corsa moderna che diventa frenesia scioccante e che fa sobbalzare a ogni curva, il cinema di Perkins rallenta e scopre dall’inizio i trucchi – “non compirò mai 29 anni”, dice Lily Saylor, la protagonista di Sono la bella creatura che vive in questa casa subito dopo il prologo; gioca con la struttura filmica sospendendo il tempo d’azione in relazione ai personaggi, a un punto di vista femminile che si sdoppia continuamente senza una soluzione che punti in un’unica direzione: Gretel e la strega, Lily e Polly, Kat e Joan sono la stessa immagine ripetuta eppure diversa, una creatura a due teste di cui soltanto una alla fine può sopravvivere e riscrivere, forse, la propria storia.

Titolo originale: Gretel and Hansel
Regia: Oz Perkins
Cast: Sophia Lillis, Alice Krige, Jessica De Gouw, Ian Kenny, Charles Babalola
Distribuzione: Midnight Factory
Durata: 87’
Origine: USA, 2020

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.5 (2 voti)
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