Grisbì, di Jacques Becker

È un’icona del noir. Presenta il confronto ossessivo tra i valori passati e la loro moderna decadenza, per rileggere attraverso lo schermo le trasformazioni etiche della Francia anni ’50. Prime Video

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In Grisbì (1954) tutto tende allo scontro, a quella contrapposizione di vedute, valori e codici (d’onore) che declina la narrazione verso i lidi della conflittualità. Una differenza di orizzonti tanto morale, quanto comportamentale, che Becker iscrive nel contesto di quella fervente transizione culturale di cui è oggetto la società francese nel corso degli anni ’50. E adattando l’omonimo romanzo di Albert Simonin, il cineasta mostra i sintomi del cambiamento attraverso una loro declinazione nel mondo della criminalità. Nel raccontare la storia di Max (Jean Gabin), un uomo al crepuscolo della sua attività criminale, che vuole lasciarsi definitivamente alle spalle il suo passato dopo un ultimo grande “colpo”, Becker ne paragona la ferrea moralità alla sua (contemporanea) decadenza. Se Max è il testimone di un mondo passato, in cui il fuorilegge è ancora espressione di un universo di valori eticamente “onorevoli”, il giovane Angelo (Lino Ventura) con i suoi metodi loschi e brutali, è l’affermazione della precarietà morale dei tempi correnti. Un conflitto che è centro, nucleo e fulcro attorno a cui ruota l’intero aspetto iconografico (e narrativo) del film.

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Quel che Becker articola con Grisbì è allora l’impossibilità – per il criminale – di perseguire il sentiero della redenzione. E nonostante Max sia irremovibile nelle sue posizioni, in virtù di una moralità più “alta” che esalta la fedeltà alla parola a suo canone dogmatico, non può comunque sottrarsi alle leggi del mondo esterno. Tanto nelle relazioni personali – con le donne, ma soprattutto con l’amico e collega Riton (Renè Dary) – quanto nelle sfide avverse, è obbligato a confrontarsi con le brutali realtà dell’esistenza criminale, a cui non può che rispondere con la violenza. In una reiterazione di azioni illecite, che decretano da parte del bandito l’ancoraggio imprescindibile ad uno scenario di criminalità a cui è incontrovertibilmente avviluppato. Una dimensione esistenziale drammatica a cui Becker dà vita attraverso una rarefazione strutturale dei codici linguistici del noir. Tutti gli eventi narrativi che ruotano attorno alla figura di Max, e che ne muovono l’azione, vengono direttamente relegati al fuori campo. Assumono significato non in funzione della spettacolarità narrativa (come è consuetudine nelle crime stories), ma in virtù degli effetti, delle conseguenze e degli esiti che essi hanno sulla psiche del protagonista, unico (e reale) centro significante del racconto. A dominare l’immagine (e l’immaginario) di Grisbì è il volto e la figura corpulenta di Max, che diventa il punto di convergenza di tutti i discorsi (narrativi, iconografici, estetici) che Becker mette qui in scena. Il sequestro di Riton, con cui Angelo spinge Max a scambiare il “grisbì” (letteralmente, il bottino) con il suo amico, in qualsiasi altro noir avrebbe assunto una centralità (almeno) visuale, mentre qui non viene neanche mostrato. È solo nella brutalità della sequenza finale, che Becker (ri)afferma i codici classici del noir, a testimoniare la prevalenza di una cornice di genere da cui il film non può (e non vuole) assolutamente smarcarsi.

In continuità con la decadenza morale de Casco d’oro Grisbì occupa un posto centrale tanto nella filmografia di Becker, quanto nell’immaginario collettivo francese. Il confronto ossessivo tra un uomo del passato (Max) e un gangster del presente (Angelo) rispecchia, di fatto, l’ideale passaggio di testimone fra i due attori che li interpretano. Se Jean Gabin è l’immagine del grande cinema francese anni ’30, con le sue iconiche e immortali interpretazioni nei film di Renoir (Verso la vita, La regola del gioco, L’angelo del male) e di Marcel Carné (Il porto delle nebbie, Alba tragica), Lino Ventura è il nuovo che avanza, destinato perciò a raccoglierne l’eredità attoriale, per declinarla verso gli inediti orizzonti del polar anni ’60. La testimonianza di un film-crocevia, che in assenza di sentimentalismo e spirito nostalgico, è in grado di rileggere attraverso il cinema le trasformazioni etiche e morali in seno alla società francese (e occidentale) del tempo.

 

Coppa Volpi a Jean Gabin al 16° Festival di Venezia

Titolo originale: Touchez pas au grisbi
Regia: Jacques Becker
Interpreti: Jean Gabin, Lino Ventura, René Dary, Dora Doll, Vittorio Sanipoli, Jeanne Moreau, Delia Scala, Paul Frankeur, Marilyn Buferd, Angelo Dessy
Distribuzione: Amazon Prime Video
Durata: 94′
Origine: Francia, 1954

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.6
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Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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