Guardare The Irishman su Netflix o in sala, questo è il dilemma

Un articolo di Richard Brody sul New Yorker rilancia la questione optando inaspettatamente per la versione casalinga. Il divano del salotto più della poltrona della sala.

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Tv e cinema sembra siano arrivati a un punto di rottura e non possono più coesistere pacificamente. Non conservando le loro caratteristiche costitutive almeno. Il dibattito nato e sviluppatosi a The Irishman di Martin Scorsese ha il merito di aver chiarito come alcune di queste posizioni non vogliano trovare sintesi quanto piuttosto vincere la guerra audiovisiva per l’attenzione dello spettatore.

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La lunga durata dell’ultima opera di Scorsese, ad esempio, è stata vista come il principale ostacolo a un’unica visione. Recentemente l’utente twitter Alexander Dunerfors Kardelo ha allora trovato in autonomia la soluzione al problema dividendolo in quattro episodi, addirittura titolati, come fosse una serie. Il paradosso di voler piegare qualunque opera ospitata sulla piattaforma di streaming alle sue modalità di visione rende ancor più cogente una riflessione: siamo già arrivati al punto di non ammettere l’esistenza di altro all’infuori di questa modernità? Il divano di casa sta uccidendo il padre rappresentato dalla poltrona della sala perché risponde all’inevitabile destino che la tecnologia impone?

Scorsese sembra non essere d’accordo e resiste strenuamente a questa ipotesi. Intervistato da Entertainment Weekly, il regista statunitense ha spiegato perché rifiuta questa suddivisione: “Si potrebbe dire «Questa è una storia lunga che può essere raccontata in due stagioni!», qualcuno mi ha detto una cosa simile. Ma no, assolutamente no. Non ci ho mai nemmeno pensato. Perché il punto di questo film è l’accumulo di dettagli. È un effetto cumulativo fino alla fine del film – questo se lo vedi dall’inizio alla fine, senza interruzioni. Una serie è fantastica, straordinaria, ti permette di sviluppare personaggi e storie, e di ricreare interi mondi. Ma non andava bene per questa storia“.

The Irishman sarebbe quindi stato concepito proprio per una visione unica da dover esperire nella sala cinematografica. O quantomeno sullo schermo con più pollici possibili. Interessante a questo proposito la concessione di Scorsese che, nel corso di una sua ospitata allo show YouTube Popcorn con Peter Travers, rifiutando categoricamente la visione su smartphone la concede a denti stretti all’Ipad (tenera e divertente la scelta dell’aggettivo grande!): “Per favore non guardatelo al telefono, vi prego. Un iPad se proprio volete; ecco un grande iPad, forse andrebbe bene“.

Se il pubblico più generalista, quello che guarda i film per passione e non per lavoro, piega la ricezione alla propria disponibilità di tempo e mezzi, sorprende l’ultimo articolo del giornalista cinematografico del New Yorker Richard Brody. Il pezzo postato il 2 Dicembre sul sito è inequivocabile sin dal titolo “Watching “The Irishman” on Netflix Is the Best Way to See It“. Brody ammette di propendere per la visione domestica non soltanto per le ovvie necessità fisiologiche ma soprattutto perché grazie alle pause che si possono fare con lo streaming si ha il tempo di poter riflettere sulla bellezza delle scene. Per dirla con le sue parole: “watching it at home, I took breaks for reasons other than banal practicalities: I found myself overwhelmed by feelings and thoughts and sheer beauty, and I often stopped the movie to savor the moment, back up a bit, and watch a scene again“.

Ma quella che viene proposta dal critico del New Yorker è in realtà la re-visione di un’opera che egli stesso aveva visto inizialmente in una sala cinematografica del New York Film Festival. Non siamo insomma così lontani dalla modalità di fruizione, quella sì davvero epocale, avvenuta ai tempi dell’avvento del videoregistratore. Nella sua disamina a freddo del film Brady si concentra sul significato dei numerosi silenzi presenti, soprattutto su quelli della figlia Peggy rivolti verso il padre Frank, che l’hanno emozionato più a casa che in sala: “It’s worth watching “The Irishman” for these silences; seen at home, they resound mightily“. Una motivazione forse un po’ pretestuosa se si pensa che fino a ora, uno dei vantaggi riconosciuti della sala era considerato proprio quello di amplificare l’isolamento dello spettatore, a fronte di uno spazio domestico che per sua natura può essere invaso continuamente da interferenze esterne. Forse liberarsi dei padri massmediali fa parte del ciclo vitale così come il disconoscimento irruente dei figli tecnologici e The Irishman sta solo soccombendo a questa legge non scritta.

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