"Guido che sfidò le Brigate Rosse", di Giuseppe Ferrara

Giuseppe Ferrara porta al cinema la storia di Guido Rossa, martire di Stato e delle Br, ma lo fa scontando un eccesso di didatticismo che blocca ogni apertura alla vita e alla morte di un eroe, troppo facilmente dimenticato come ogni grande eroe che si rispetti…Un’occasione persa, come tanto altro cinema d’impegno civile

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Il fortunato filone del cinema politico, o d’impegno civile, quello dei Petri e dei Rosi per intenderci, viene sempre portato alla ribalta ogniqualvolta un film o un autore italiano ci si avvicini, per stile o per tema. Come sempre, a sproposito…

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Giuseppe Ferrara, classe 1932 – forse troppo facilmente etichettato come uno dei tanti figli “del genere Petri&Rosi” –  stavolta ha il grande merito di essersi interessato a un caso davvero di “coscienza” e non di “copertina”, come gli altri (Moro, Falcone, Calvi, Dalla Chiesa…) trattati nelle sue opere precedenti. Guido Rossa fu il punto di non ritorno della stagione del terrorismo italiano targato BR, altro che Moro, fu proprio l’omicidio di questo alpinista-operaio-sindacalista a recidere completamente quel legame, seppur minimo, tra il proletariato e la lotta di classe di Mario Moretti.

Un errore, ammise a denti stretti qualche anno più tardi lo stesso Moretti. E pensare che Rossa, in base al diritto brigatista, doveva essere “solamente” gambizzato ma fu Riccardo Dura, all’epoca fresco capo della colonna genovese delle BR, a eseguire personalmente la condanna a morte per spionaggio.

Al regista basta mettere in testa a Massimo Ghini un parrucchino posticcio per reinventare un martire, un operaio dell’Italsider che faceva il sindacalista (caso più unico che raro: trovatelo adesso un sindacalista che si spacca la schiena alla pressa…), e a niente serve quel dialetto ligure messo in bocca al romanaccio Ghini. Ferrara cerca, o meglio, insegue una verosimiglianza perduta, un’aderenza al dato oggettivo che non porta da nessuna parte, anzi che finisce quasi col parodiare la figura di un uomo davvero così maledettamente distante da quei martiri di Stato che lo stesso Stato ha reso celebri dopo averli visti saltare in aria o giustiziati come cani nel portabagagli di una macchina (quella sì, davvero proletaria…), uno Stato che assicura funerali sontuosi anche senza feretro perché l’importante è la forma e non il contenuto…

Il problema di Ferrara forse è proprio questo, e cioè di aver trattato Guido Rossa come Moro o Falcone: ci dispiace, ma non è così, i morti martiri non sono tutti uguali…

Guido Rossa fu ammazzato perché denunciò le ingerenze che le BR mettevano in atto nella sua fabbrica: ma Rossa non fu ucciso solamente dalle BR, fu ucciso anche dai burocrati di Stato che lo costrinsero a denunciare il tutto mettendo in bella vista il suo nome e dai suoi stessi compagni, del partito e del sindacato, che lo lasciarono solo. E ora, a differenza dei “grandi martiri”, non c’è una via col suo nome, né una piazza, né una stazione ferroviaria, né un’università, e il 24 gennaio – giorno della sua morte – nessun politico sfida la pioggia o il freddo per posare una corona di fiori sulla sua lapide (per quel che serve…).

Ecco perché, in fondo, anche se arriviamo a intuire i motivi per cui la pellicola è stata condannata alla clandestinità per due anni, visto che il film è pronto dal 2005, non giustifichiamo questo andazzo all’invisibilità a cui l’opera e la figura di Rossa sono state condannate: certo, il film di Ferrara non sarà un capolavoro, anche a causa di una drammaticità fiacca, e dunque non costituirà il pretesto migliore per rievocare la figura di Rossa.

Però è già qualcosa, apprezziamo almeno il tentativo…

 

Regia di Giuseppe Ferrara

Interpreti: Massimo Ghini, Anna Galiena, Gianmarco Tognazzi, Maria Rosaria Omaggio, Giulio Buccolieri, Elvira Giannini, Mattia Sbragia

Distribuzione: Emme Cinematografica

Durata: 102’

Origine: Italia, 2006

 

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