Gunman, di Cristian Tapia Marchiori
Un thriller ansiogeno su un uomo in fuga dal proprio destino tra le strade insanguinate del barrio, con una buona tensione narrativa. Premio per la miglior regia al Monsters – Fantastic Film Festival
I mostri che nascono nella fantasia sono il tentativo di esorcizzare la realtà. Una risposta dovuta alla paura di ammettere l’orrore come parte delle nostre vite, e al rifiuto naturale di vedere nell’essere umano il principale responsabile delle violenze dalla quali siamo circondati. La storia raccontata nel film più che spaventosa è ripugnante, piena di atrocità rese plausibili dal contesto degradato di Isla Maciel, una baraccopoli nel comune di Avellaneda, nella provincia di Buenos Aires. In un unico piano sequenza alla fine di una notte di sangue, vendette e rese dei conti all’interno del barrio, il regista realizza un thriller antropologico su un quartiere da sempre percepito come malfamato, dove persistono germogli di resistenza nei legami e nelle radici, un percorso di emancipazione dentro un’ambiguità morale legata a codici feroci di sopravvivenza.
Il protagonista El Galgo è un criminale in fuga, un’ombra spiegata sulle strade buie, inseguito dalla pallottole, tradito, picchiato e umiliato, condannato a morte da un destino impossibile da evitare. Questo racconto ha bisogno della statura di un eroe, per scansare le accuse e salvare le persone care, un ruolo necessario, una figura pronta a portare il peso insostenibile del lutto mentre si ritrova a lottare contro avversari fatti di rancore e miseria. Un eroe suo malgrado, sprovvisto della forza necessaria, un guerriero nella notte maledetta. La sua discesa all’inferno è un percorso di realismo visivo, un labirinto in un contesto urbano parte attiva della narrazione, uno spazio aperto perfetto per trasmettere il cambiamento interiore del protagonista.
L’espediente tecnico di un’unica, lunga ripresa coreografica aumenta la suspense prima dello scontro finale, un’escalation brutale di omicidi, bugie, protetti da oscurità e decadenza. Un contesto con le logiche differenze accostabile in salsa argentina a The Purge, con le vie invase da malviventi e una caccia all’uomo che non conosce distinzioni. Qui non c’è nessuna purificazione possibile nell’orgia sfrenata, c’è soltanto un parassita efferato, ci sono i sogni mai nati e quelli morti ammazzati. Gatillero, questo il titolo originale, è qualcosa di molto simile ad una trappola che suggerisce una ritirata dopo una disfatta, anche se poi dileguarsi resta un’utopia, un’alba sui peccati e le coscienze sporche. Su un’illusione che chiede di contare le vittime prima di concedere un minimo di speranza per il futuro.
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