Harka, di Lotfy Nathan

Ambientato in Tunisia dopo la rivoluzione, denuncia le criticità di un governo assente che lascia crescere in quella mancanza di controllo delle sacche di corruzione. Un certain regard

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Le tematiche principali di Harka lo inseriscono in quello che potrebbe essere definito un neorealismo arabo. Al centro ci sono i problemi e le ingiustizie di uno stato assente. O, quando presente, vessatorio nelle pratiche inerenti il rapporto con la società civile, per la mancanza di assistenza e di sostegno e complice nell’osservare la povertà dilagante ed i conflitti senza intervenire, con un distacco generato da una sostanziale negligenza. Il film di Nathan Lofty è ambientato in Tunisia e centra in pieno queste dinamiche. Le raggruppa attorno ad un ragazzo, Ali, costretto a vendere carburante di contrabbando per risparmiare il denaro necessario per partire verso l’Europa. Fino a quando la morte del padre lo riporta in seno alla famiglia, con delle sorelle di cui occuparsi dopo la partenza del fratello, costretto ad allontanarsi per lavoro. La progressione drammatica del film lo mette di fronte a situazioni sempre più urgenti, l’indifferenza del sistema lo porta all’esasperazione e gli fa compiere dei gesti disperati. Lo scenario è un montaggio di umili interni alternato ad esterni dominati da un clima asfissiante da attraversare per recarsi nei luoghi di transito dell’illegalità. In tale contesto è un niente cadere nelle maglie della delinquenza e porta ad assumere dei rischi inevitabili.

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Un cinema di impegno civile, che racconta la drammatica mancanza di lavoro, la corruzione, anche dopo le rivolte nel paese del 2010, l’ossessione del denaro dentro una divisione di classe oppressiva. Lo sguardo del regista sceglie di seguire le sorti del protagonista dentro una parabola discendente, nel fallimento di ogni tentativo di smarcarsi dal vuoto esistenziale nel quale è confinato. Invano Ali cerca aiuto attorno a sè. La sua storia denuncia l’ipocrisia di un paese, il risveglio da un sogno che costringe a guardare alla realtà cancellando le illusioni. La delusione è scritta sul suo volto, segna i suoi passi, fa sentire la vergogna di un uomo privato della possibilità di avere un futuro, che viene percepito in una bolla di rassegnazione. La trama è molto esile, manca di profondità, per la probabile intenzione di rappresentare l’isolamento, eppure un supporto nello sviluppo di una delle figure raccolte attorno al protagonista sarebbe servito per una tridimensionalità del racconto del quale si sente la mancanza. Resta il l’approccio importante di un cinema di denuncia, la presa d’atto di un tradimento di un ideale venduto immediatamente al miglior offerente.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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