"Harrison's Flowers" di Elie Chouraqui

Camera a spalla nel "teatro di guerra" di Chouraqui. Ma "Harrison's Flowers non è solo un film di guerra ma anche d'amore

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Nonostante una locandina romanticamente ingannatrice, il vero soggetto di "Harrison's Flowers" è la guerra, anche se Chouraqui (“Pericolo in agguato”) preferisca definirlo “un film per la pace”. L’amore di Sarah (Andy MacDowell) per il marito Harrison, famoso fotografo di guerra dato per morto sul lavoro, è solo uno stratagemma per condurre insieme alla protagonista dentro l'inferno del conflitto in Croazia.
Atrocità di quel conflitto. Guerra che nella redazione americana dove lavorano i protagonisti del film veniva ancora chiamata “una serie di scaramucce"(siamo nell’ottobre del ‘91), che si esplicita visivamente con la brutale irruzione di un cannone sulla scena. Di colpo, si è proiettati in un viaggio della speranza che è la continua e violenta negazione di sé stesso, tra cecchini, cadaveri e donne con il cartello "porto in grembo il figlio di un serbo". L’immagine si fa attenta e sensibile, diventando addirittura sfocata e "polverosa" nei momenti in cui anche il destino dei protagonisti sembra incerto (come nella bella scena notturna del "bunker" improvvisato). E la camera a spalla si incolla alle scene più forti, seguendo nei salti e nelle esitazioni anche dei personaggi secondari: giornalisti e fotografi più o meno importanti incrociati "per caso" nel teatro di guerra o che accompagnano Sarah nella sua follia, e cioè raggiungere Beograd, ormai ridotta ad un lago di sangue dalle milizie serbe, e recuperare il marito. Tra questi spicca quello di Kyle, (Adrien Brody), piccolo fotografo idealista e "contro", anti-carrierista mosso dal dovere di documentare la guerra nei suoi lati più crudi, senza però sapersi rendere impermeabile ad essi. “Harrison’s Flowers” però è anche un film che parla d’amore. In primo luogo però, amore per gli ideali. Il lavoro di reporter di Kyle diventa quindi bisogno di contestualizzare, tramite le fotografie, quando non si crede più ai propri occhi. E quello che gli "eroi per caso" di questo film vedono è troppo forte: c'è chi muore, chi impazzisce, o chi, come Harrison, avvolge ogni rullino con piccoli biglietti dalla scritta "questa è l'opera del diavolo". E se l'amore "canonico" di Sarah per il marito è solo un percorso narrativo (per questo si perdona a Chouraqui lo scarso approfondimento di questa relazione), è comunque lei che a conti fatti agisce da traino amoroso per tutta la storia. Sarah rappresenta l'innocenza, che insieme agli orrori della guerra appiattisce i conflitti tra chi è abituato a sporcarsi le mani (e l'anima) guardando (e fotografando) le cose, e chi mantiene il distacco e prende gli onori. Come dire che di fronte alla guerra, come di fronte all'innocenza di una donna innamorata e decisa ad andare avanti nonostante un orrore di cui nemmeno sospettava l'esistenza, resta soltanto da ammutolire per quello che l'animo umano è capace di fare.

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Titolo originale: Harrison’s Flowers
Regia: Elie: Chouraqui
Sceneggiatura: Elie Chouraqui, Isabel Ellsen, Michael Katims, Didier Le Pecheur
Fortografia: Nicola Pecorini
Montaggio: Ailo-Auguste Judith, Stéphane Frees, Jacques Witta
Musica: Bruno Coulais, Cliff Eidelman
Scenografia: Giantito Burchiellaro
Costumi: Mimi Lempicka
Interpreti: Andie MacDowell (Sarah), David Strathairn (Harrison), Elias Koteas (Yeager), Adrien Brody (Kyle), Brendan Gleeson (Stevenson), Scott Anton (Cesar Llolyd), Quinn Shephard (Margaux Lloyd), Corey Johnson (Peter), Joel Kirby (Michael), Alun Armstrong
Produzione: Elie Chouraqui, Albert Cohen per 7 Films Cinéma/France 2 Cinéma/Le Studio Canal+
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 130’
Origine: Francia, 2001

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