Havoc, di Gareth Evans

La dimensione stilistica è quella dell’hard-boiled tipicamente alla Miller, che di tanto in tanto osserva Altman, ma gli preferisce lo sparatutto e la fisicità dinamica e iper-violenta. Su Netflix

-----------------------------------------------------------------
OPEN DAY FILMMAKING & POSTPRODUZIONE: 23 maggio

-------------------------------------------------

BORSE DI STUDIO per LAUREATI DAMS e Università similari

-----------------------------------------------------------------
SPECIALIZZAZIONI: la Biennale Professionale della Scuola Sentieri selvaggi

-------------------------------------------------

Show, don’t tell. Chi conosce il cinema di Gareth Evans, sa bene che l’autore dei due capitoli ormai cult di The Raid, non ha mai avuto alcun bisogno “di dire”, preferendo di gran lunga affilare le lame – e non solo quelle – del “mostrare”. Se Apostolo, il lungometraggio precedente e anch’esso acquisito da Netflix, esplorava curiosamente le potenzialità della scrittura fino a lì estranee al cinema di Evans, Havoc, il suo quinto lungometraggio di carriera, segna un vero e proprio ritorno alle origini.

D’altronde ormai è chiaro a tutti; Evans ha indubbiamente modellato e animato una nuova forma e idea di cinema action, poggiata tanto sul perfezionismo radicale della questione coreografica – la Pencak Silat è soltanto uno dei moltissimi strumenti, sospeso tra wuxia, jiu-jitsu giapponese e dinamismo dei corpi – quanto sull’intrattenimento feroce e sfrenato di un cinema che desidera esclusivamente mostrare e mai dire, nel modo più caotico e al tempo stesso pulito possibile. Nonostante effettivamente il sangue scorra a fiumi, insozzando pavimenti, pareti e intere location.

Un cinema nel quale i corpi si muovono o addirittura “danzano” nel caos, sfiorando pallottole affamate, grida disperate e armi di qualsiasi natura, mutilati fino all’estremo, eppure spaventosamente vitali. Dove i caricatori non finiscono mai, proprio come le vite e mai come le anime. Poiché è bene sottolinearlo, ad Evans la backstory dei suoi protagonisti – o altrimenti personaggi secondari – non sembra affatto interessare. Nulla più di un orpello stilistico, che non soltanto appesantisce, ma crea un contatto. Un contatto che il suo cinema feroce intende rimuovere, dunque indesiderato. Non sono anime quelle che vediamo danzare tra morte feroce e vita disperata, sono soltanto volti e corpi. Cosa ci importa delle loro anime? Sembra domandarselo Gareth Evans e noi con lui.

La conferma di tale pensiero, giunge nuovamente da Havoc, lungometraggio stilisticamente curato, forse addirittura fin troppo, disinteressato ancora una volta a tutto ciò che è formalismo di struttura e convenzioni narrative. Qualcosa però è cambiato. Dal cinema delle origini, animato da volti e corpi sconosciuti ai più, quantomeno al pubblico occidentale, Evans approda al cinema figlio delle grandi piattaforme – o major – in questo caso Netflix. Le medesime che in primo luogo desiderano le star e poi, solo secondariamente l’aderenza parziale, o totale all’effettivo linguaggio dei suoi autori. Sia chiaro, Evans non scompare, al contrario, esplode come una scheggia impazzita, al pari dei suoi interpreti, dinamici all’eccesso e per questo sfuggenti, così come i tempi e ritmi del film.

Non ci importa infatti che Tom Hardy si chiami Walker, né tantomeno Eddie Brock. Tutto ciò che dobbiamo sapere, è che un poliziotto corrotto come lui, non avrebbe mai potuto essere un buon padre, né tantomeno un uomo perbene. Piuttosto un’arma incontrollata, capace di seminare panico e violenza, a seconda dei suoi interessi. Quando la corruzione dilaga però, nemmeno Walker sa più come muoversi. Nonostante la missione di salvataggio, nonostante gli incarichi della disperazione. Da qui il caos, derivato tanto dallo scontro feroce e sanguinoso tra gang rivali, quanto da vecchi amici che hanno scelto ormai di voltarsi le spalle, preferendo il denaro e la spietatezza della morte.

Evans più di tutto, è all’hard-boiled figlio della graphic novel neo-noir che guarda. Se è vero infatti che Hardy nel volto, coglie la cinica disillusione del Marlowe di Gould/Altman, nel lavoro sul corpo è invece al Marv di Rourke/Miller/Rodriguez che fa totale affidamento. Tra i notturni di Sin City e il marcio di Ellroy. Nel mezzo The Raid, lo sparatutto e il peso effimero dei volti. Vale anche per Tom Hardy.

Titolo originale: id
Regia: Gareth Evans
Interpreti: Tom Hardy, Jessie Mei Li, Timothy Olyphant, Forest Whitaker, Justin Cornwell, Quelin Sepulveda, Luis Guzmán, Michelle Waterson, Sunny Pang, Jim Caesar, Xelia Mendes-Jones, Yeo Yann Yann, Richard Harrington, Serhat Metin
Distribuzione: Netflix
Durata: 105′
Origine: UK, USA 2025

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
5 (1 voto)

UNICINEMA scarica la Guida completa della Quadriennale di Sentieri Selvaggi


    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative