Hellboy, di Neil Marshall

Hellboy adegua i fumetti di nicchia della Dark Horse al mutato gusto del pubblico. Il film è divertente solo se si dimenticano le pagine di Mike Mignola e si accetta un ritmo degno di Matthew Vaughn

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Il modo migliore per apprezzare Hellboy è dimenticarsi le meravigliose pagine gotiche disegnate da Mike Mignola su cui il personaggio era stato creato. Il reboot di Neil Marshall fa venire in mente una scena significativa del precedente adattamento di Guillermo Del Toro. Il suo sidekick umano provava ad accattivarsi l’eroe mostrandogli la copertina di un comic-book basato sulle sue imprese. Tuttavia, lo stile e i colori dell’illustrazione avevano un inconfondibile e parodico marchio marveliano. Il diabolico e disincantato detective paranormale dichiarava senza mezzi termini di odiare quei fumetti. Così, il regista messicano poteva sottolineare la natura di nicchia del protagonista e ammiccare ai suoi fan. Le pubblicazioni della Dark Horse non hanno niente a che fare con le altre case editrici e chi le legge ama farlo presente.

Era impossibile pensare che il ciclone del MCU non avrebbe intaccato anche questa posizione di privilegio. 300 di Zack Snyder era una riproduzione fedele del graphic-novel omonimo di Frank Miller ma nel 2007 le cose erano ancora diverse. Il primo scontro tra Il Rosso con un vampiro avviene su un ring di lucha libre ma la distanza con il modello è evidente. Infatti, il combattimento si svolgeva anche su Hellboy in Mexico e la tonalità del corpo a corpo era completamente differente. È difficile ridurre un simile cambiamento ad una semplice questione di luce e di colore non rispettati. Mike Mignola ha sempre avuto una sensibilità cinematografica, al punto da aver curato lo storyboard di Bram Stoker’s Dracula di Francis Ford Coppola. Le influenze noir di Sin City non sono in discussione ma tutti i titoli della Dark Horse hanno spesso pescato dall’immaginario classico del grande schermo.

Hellboy rende esplicito come questo bagaglio visivo sia ormai obsoleto anche per il più inusuale dei fumetti. Paradossalmente, la sceneggiatura di Andrew Cosby si attiene scrupolosamente all’idea lovecraftiana che regge il suo universo narrativo. Il mondo degli umani e quello delle creature demoniache sono permeabili e sono in guerra sin dalla notte dei tempi. Il prologo ambientato all’epoca di Re Artù non è solo il pretesto per il grande colpo di scena del film ma serve anche a storicizzare il conflitto. Il viaggio nel vecchio mondo per partecipare ad una battuta di caccia ai giganti dimostra come i rapporti tra le due dimensioni non possano essere pacifici. Tuttavia, l’antica società britannica che si occupa di organizzare questo sport nelle campagne inglesi sembra uscita da Kingsman di Matthew Vaughn.

Il Rosso mantiene la fragile posizione di compromesso tra gli umani che lo hanno accolto e una natura infernale che vorrebbe distruggerli. Il copione di Hellboy ruota intorno al suo dilemma interiore: proteggere il mondo o dominarlo? Eppure, è come se questo dubbio tragico fosse finito nelle mani di Guy Ritchie. Il sarcasmo del protagonista è uno dei suoi tratti distintivi ma la storia lo costringe a sconfinare nella canzonatura e nell’iperbole. David Harbour si presta a questa nuova vocazione molto più di quanto non facesse Ron Perlman. Il suo umore cambia solo nel prevedibile momento di crisi in cui si rassegna ad adempiere al suo destino di bestia dell’apocalisse. Tuttavia, le creature ributtanti che escono dalle viscere della Terra e seminano la morte su Londra non hanno nessuna inventiva allucinatoria. La loro apparizione è un lungo intermezzo splatter che si adegua al gusto mutato del pubblico di riferimento.

Tutti gli sviluppi narrativi di Hellboy sembrano essere solo una scusa per mettere in scena una mattanza. Gruagach conserva poco di quelle radici che affondano nell’antico folklore delle leggende anglosassoni. Però, ci guadagna un linguaggio sboccato che si sfoga nelle sue sanguinolente razzie alla ricerca del corpo da ricomporre della strega Nimue. Hellboy è un film molto divertente, se si accetta questa mutazione dello spirito nativo del personaggio. La ridondanza delle sue battaglie e dei suoi effetti disgustosi è coreografata in maniera impeccabile. In particolare, il lungo massacro nella brughiera tra Il Rosso e i giganti merita una menzione. Il pubblico deciderà se le intenzioni dichiarate di fondare un nuovo franchise avranno un seguito.

La speranza è che il nuovo capitolo dia più spazio all’unico tocco genuinamente dark del film. L’antro della schifosa Baba Yaga e il suo amore e odio verso l’eroe superano gli sforzi di Milla Jovovich di essere credibile come Queen of Blood. L’allusione che sgranocchi golosamente le mani dei bambini vale molto più delle centinaia di corpi mutilati e squartati che Hellboy offre alla visione. La casa maledetta è un contesto molto più simile a quello di The Descent, il folgorante e mai più ripetuto esordio di Neil Marshall.

 

Titolo originale: id

Regia: Neil Marshall

Interpreti: David Harbour, Milla Jovovich, Ian McShane, Sasha Lane, Daniel Dae Kim, Thomas Haden Church, Brian Gleeson

Origine: USA, 2019

Distribuzione: M2 Pictures

Durata: 120’

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