Hiding in Plain Sight – Intervista a TJ Wilcox
Intervista al video artista americano TJ Wilcox, un’occasione per parlare della sua ultima video installazione e per ragionare sulle immagini still e motion del XXI° secolo.
Torniamo a parlare dello scorso MIART di Aprile per la importante occasione di intervistare uno dei più importanti artisti presenti durante la kermesse milanese: TJ Wilcox. L’artista e videoartista di Seattle, che vive tra Milano e New York, era presente con la sua ultima interessante installazione: Hiding in Plain Sight per la quale ha creato un video ritratto sulla ereditiera anglo-irlandese e designer Eileen Gray.
La Gray costruì una dimora (chiamata E-1027) a Roquebrune-Cap-Martin, nel sud della Francia, durante gli anni 20 del 900 raccogliendo una sfida all’architettura da parte del suo compagno Jean Badovici. Dopo essere stata abbandonata per decenni la villa è stata ristrutturata, ed è stato concesso a Wilcox di utilizzare una cabina di proiezione che la Gray aveva creato per vedere film all’epoca. Tale spazio era rimasto nascosto ed è stato dimenticato per quasi un secolo.
Hiding in Plain Sight esplora e utilizza temi che la Gray associava alla casa in quel periodo, idee per cui lei ripeteva “le formule (architettoniche) non sono nulla, la vita è tutto”. L’esposizione in galleria è stata creata invitando lo spettatore a considerare – attraverso la documentazione video dell’evento e il materiale biografico correlato – un’installazione video multicanale che esplora l’interpretazione personale e non eroica del modernismo da parte di una donna.
Abbiamo incontrato l’artista a Milano, ed egli si è gentilmente concesso per fare una conversazione riguardo alcuni temi a noi sempre cari.
Cosa pensi delle immagini audiovisive di oggi?
Le immagini in movimento restano per me il medium più interessante della nostra epoca, anzi trovo strano che non ci siano ancora più artisti curiosi verso di esse. È strano soprattutto se penso a tutte le persone che sono costantemente circondate da film e video, fino a diventare inconsciamente fluenti in quel linguaggio. Oggi la maggior parte delle persone comprende intuitivamente tecniche come la dissolvenza, che comunque è sempre un sofisticato meccanismo visivo. Quindi penso che il cinema sia il nostro vero linguaggio universale, e a volte mi sembra impossibile che ci siano artisti contemporanei che ignorino un medium così fondamentale per il modo in cui viviamo il mondo oggi.
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Pensi che le gallerie d’arte saranno le future sale cinematografiche?
Credo che le gallerie d’arte siano uno dei luoghi più adatti al cinema, soprattutto considerando il declino delle sale cinematografiche tradizionali, luoghi da cui si vede una continua fuga. Penso anche che assistere a questo calo costante porta a capire perché gallerie e musei siano così speciali: sono luoghi che incoraggiano il pensiero critico. Una galleria non è come un cinema, che oggi è spesso incentrato sull’intrattenimento leggero, ma è un ambiente unico, in cui si è invitati a confrontarsi con idee stimolanti, sorprendenti, divergenti, in cui si stimola il nostro pensiero. Anzi, man mano che le nostre libertà personali diverranno più limitate, il dibattito intellettuale offerto da questi spazi è qualcosa che dovremo proteggere con forza, poiché le opportunità per questo tipo di pensiero già oggi stanno diventando sempre più rare nella vita contemporanea.
foto di Jacopo Peloso @jacopo.pls
Ma a tutti noi interessa ancora il cinema?
Il cinema di successo di Hollywood, per come lo abbiamo conosciuto e amato almeno negli ultimi 50 anni, sta chiaramente affrontando delle sfide, ed è difficile immaginare che continui come ha fatto finora. Tuttavia, questo non significa che non ci interessi più il cinema. Anzi, ne siamo più coinvolti che mai, poiché la potente tecnologia dei nostri smartphones ci rende tutti registi. La vera domanda è “come utilizzeremo questo nuovo potere?”. Mentre molti si limitano a riprodurre gli standard di bellezza convenzionali che hanno imparato vedendo un certo tipo di immagine, altri spero che usino questa tecnologia per reinventare ciò che il cinema può essere. per raccontare le proprie storie ed esprimersi al di fuori delle convenzioni tradizionali. Ora disponiamo di potenti strumenti per la nostra espressione. La capacità di creare un tipo di cinema molto preciso e particolare per un pubblico specifico è una nuova, potente possibilità, che permette a voci uniche di emergere in questo mondo in continua evoluzione.
Stiamo andando verso un cinema “one-to-one”?
Non sono sicuro se ci stiamo muovendo verso un cinema “one-to-one”, ma le applicazioni delle immagini in movimento sono diventate così diversificate che è difficile parlare in modo ampio. Per esempio, sui social media, penso a piattaforme come TikTok, i creatori di contenuti spesso mirano a un pubblico molto più ristretto. Molte persone, in particolare i giovani, limitano intenzionalmente il proprio pubblico, forse per un maggiore senso di privacy, e vogliono davvero realizzare un film per un gruppo molto ristretto. Tuttavia il mio lavoro è destinato a un’esposizione pubblica e quindi presuppone un pubblico più ampio.
Anche se non so con certezza se raggiungerà qualcuno, la mia intenzione non è mai quella di creare un film per un pubblico di una sola persona.

foto di Jacopo Peloso @jacopo.pls
Perché hai deciso di realizzare video per le gallerie invece di film narrativi destinati alla distribuzione nelle sale cinematografiche?
Ho iniziato come pittore, frequentando la scuola di specializzazione a Los Angeles per studiare con l’artista Mike Kelly. Ma l’intera Los Angeles era dominata dall’industria cinematografica e tutti giravano un solo tipo di film: film ad alto budget per un mercato di massa. Mi sono reso conto che i miei limiti – un budget inesistente e il fatto di lavorare da solo – sarebbero stati visti come debolezze in quell’ambiente. Tuttavia invece di scoraggiarmi, l’ho vista come una sfida. Ho deciso di trasformare i miei limiti in punti di forza, proprio come i pittori e gli scultori sfruttano i limiti fisici del loro corpo o del loro studio nelle loro opere. Ho iniziato a chiedermi: “Come potrei usare l’animazione a mano, lo stop-motion o la pellicola Super 8 per trasformare i miei limiti in vantaggi?”. Questo approccio mi ha permesso di creare un cinema personale, un rapporto “one to one” con l’opera stessa. Facevo film per me stesso, libero dai compromessi necessari per attrarre un vasto pubblico. L’intero processo è stato un modo per esplorare che tipo di film avrei potuto realizzare da solo nel mio piccolo studio.
Ma pensi che ci fosse forse inconsciamente qualcosa di politico in questo tipo di decisione?
Penso che tutte le decisioni siano politiche, e quindi sì, penso ci fosse assolutamente una sorta di politica in questo. Se penso che il cinema sia il medium più straordinario del XX secolo, mi chiedo perché dovremmo abbandonarne l’uso lasciandolo esclusivamente alle aziende? Perché, se potessimo, non dovremmo tutti trarre vantaggio da questo medium? Non sarebbe un uso più convincente, o almeno altrettanto convincente, degli usi più familiari a cui viene sempre destinato?

foto di Jacopo Peloso @jacopo.pls
Mi puoi parlare della tua ultima installazione? Riguarda una artista francese non molto conosciuta…
Mi interessava organizzare qualcosa partendo dal fascino per la casa di Eileen Gray, una casa progettata da questo architetto irlandese donna, innamorata di un uomo all’inizio del XX secolo. La Gray voleva progettare una casa dove potesse vivere insieme al suo uomo come una coppia, pur avendo ognuno spazi separati per continuare ad essere creativi. Ho trovato questa idea bellissima, profonda, e anche molto rilevante oggi. Penso che l’idea che una donna possa progettare una struttura per facilitare la libertà personale all’interno di una relazione sia un tema ancora attuale oggi, come lo era nel 1925. Sebbene il pubblico specifico dell’architettura francese del primo modernismo possa essere ristretto, credo che l’idea fondamentale di preservare la propria indipendenza e libertà creativa sia qualcosa che ha un ampio fascino e possa interessare tutti noi.
Cosa pensi della bassa capacità di attenzione di oggi?
In primo luogo, sebbene oggi tutta la cultura sia più disponibile che mai, l’abbondanza di informazioni spesso porta a una conoscenza più superficiale delle materie di studio. Le persone credono di sapere più di quanto sappiano in realtà. Questo diventa pericoloso perché si rischia di ripetere errori del passato, non avendo imparato da essi. In particolare nei media la costante, enorme ondata di prodotti audiovisivi ha influenzato drasticamente la nostra capacità di tollerare la durata. Amici registi mi fanno notare come molti giovani non riescano più a sopportare un film tradizionale di due o tre ore. Personalmente ho osservato uno sconcertante disprezzo per il cinema in bianco e nero tra il pubblico giovane, perché spesso lo trova poco attraente, a volte quasi offensivo. Questo impedisce loro di immergersi in una enorme parte della storia del cinema, una parte che considerano distante e poco interessante, nonostante il bianco e nero fosse un tempo sinonimo di qualità. Almeno per la mia generazione.
Ti consideri un regista del 21° secolo?
Mi considero un regista del XXI secolo semplicemente perché realizzo film nel XXI secolo.

foto di Jacopo Peloso @jacopo.pls

























