"Hitchcock", di Sacha Gervasi

hitchcock di sacha gervasi

Biopic compìto, sospeso tra l’attenta ricostruzione filologica e il desiderio di spingersi oltre. Spaccato a metà tra un universo maschile inerte, cristallizzato nell'interpretazione vezzosa di Hopkins, e quello femminile incarnato da Mirren, Johansson e Biel,  capaci di raccontare la dialettica vita-schermo

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Smessi gli abiti regali della Regina di Frears, Helen Mirren torna a vestire una nuova sovrana, più nell’ombra ma altrettanto nobile e altera. La sua Alma Reville è la figura misteriosa e ambigua – moglie, coautrice, manager? – che dà corpo e sostanza allo sguardo sostanzialmente televisivo di Sacha Gervasi e della sua trasposizione su grande schermo del romanzo Alfred Hitchcock e l'incredibile storia di Psycho di Stephen Rebello.

Un biopic compìto, sospeso tra l’attenta, per non dire pignola, ricostruzione filologica della Hollywood anni Sessanta e il desiderio di spingersi oltre, per indagare la psiche di uno dei più grandi geni cinematografici di tutti i tempi. Le ossessioni ben note per le sue algide protagoniste e quel lato indubbiamente oscuro, capace di mutare parole spesso insignificanti in immagini indelebili, stratificate.

 

hitchcock di sacha gervasiUn‘impresa pressoché titanica di cui si apprezza l’audacia nonostante l’esito incerto.
Perché, vuoi per il fascino del soggetto, della materia trattata – la travagliata genesi di un capolavoro da parte di un inarrivabile creatore di immagini – il film riesce ad attrarre a sé, a cogliere la politica ferrea e crudele dello Studio System e una certa patinata eleganza vintage – il look del film è dato più dai Rayban che dall’occhio di Gervasi – per certi versi affine a quella di A Single Man di Tom Ford.

 

Ma per quanto potenzialmente avvincente, il viaggio nell’universo hitchcockiano si arena nel passaggio dal campo medio, dal totale del quadro, in cui si muovono deliziose figure secondarie come la segretaria Toni Collette, al primo piano sul protagonista, che non riesce ad andare oltre la maschera, oltre l’aneddotica già raccontata tanto dal biografo ufficiale Donald Spoto quanto da fans di lusso come Truffaut o Chabrol.

La ‘colpa’, paradossalmente, è proprio della pedina più pregiata della scacchiera: Sir Hopkins, troppo impegnato a gongolare della sua perfetta imitazione dei tic hithcockiani per penetrarne davvero il mistero, come invece fa la Mirren con Alma Reville, più libera di spaziare, certo, alle con un personaggio meno iconico, ma di cui l’attrice inglese dà un ritratto inedito e spiazzante, ferreo e fragile allo stesso tempo.

 

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Il film di Gervasi sembra spaccato a metà, come l’androgino platoniano, tra un universo maschile inerte e privo di attrattiva e l’elemento femminile incarnato tanto da Mirren/Reville quanto dalle due dive Janet Leigh/Scarlett Johansson  e Vera Miles/Jessica Biel, mai perse nel ricalco ma in grado di abitare i propri personaggi raccontando, implicitamente, anche la propria quotidiana lotta tra vita e schermo, la difficoltà di essere un ideale da rappresentare, un’immagine da forgiare, come già la Marilyn di Michelle Williams.

 

Le aperture per un discorso meno garbato ci sarebbero anche (le riprese della scena della doccia) ma Gervasi spesso le banalizza, incapace di dar davvero corpo agli incubi, come nelle apparizioni del fantasma di Ed McBain, il serial killer che ispirò il personaggio di Norman Bates.  Per timore di risultare morboso ammansisce il suo racconto fino a renderlo soltanto un po’ pruriginoso, abbozzando disfunzioni sessuali e psicologiche, ma senza coraggio. E alla fine si rifugia nell’aneddoto, raccontandoci come le note glaciali di Bernard Herrmann le abbia volute lei, Alma. The Queen.

 

Titolo originale: Id.

Interpreti: Anthony Hopkins, Helen Mirren, Toni Collette, Scarlett Johansson, Jessica Biel, James D'Arcy, Michael Stuhlbarg, Ralph Macchio, Danny Houston

Origine: USA, 2012

Distribuzione: 20th Century Fox

Durata: 98'

 

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