"Ho cercato di essere sudamericano!". Incontro con Mike Newell e Giovanna Mezzogiorno

Mike NewellDal romanzo di Gabriel García Márquez, Mike Newell raccoglie la sfida di portare sullo schermo un’opera letteraria epica, stratificata e profondissima. Il risultato è L’amore ai tempi del colera: un cast eterogeneo e un incontro/scontro tra culture, quella britannica e quella colombiana. Il regista Mike Newell e la protagonista Giovanna Mezzogiorno presentano il film

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Dal romanzo di Gabriel García Márquez, Mike Newell (Ballando con uno sconosciuto, Quattro matrimoni e un funerale, Donnie Brasco) raccoglie la sfida di portare sullo schermo un’opera letteraria epica, stratificata e profondissima, dove il lettore si perde tra gli infiniti percorsi e le mille facce del sentimento che chiamiamo ‘amore’. Il risultato è L’amore ai tempi del colera: un cast eterogeneo – da Javier Bardem (Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Collateral, Mare dentro) a Benjamin Bratt (Traffic), passando per Giovanna Mezzogiorno e Catalina Sandino Moreno (Maria full of grace, L’amore giovane, Fast food nation) – e un incontro/scontro tra culture, quella britannica (da cui proviene il regista) e quella colombiana. Mike Newell e Giovanna Mezzogiorno (che interpreta la protagonista Fermina Daza), a Roma per presentare il film, hanno raccontato fascinazioni e ostacoli di questa impresa.

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Mike NewellQual è stato il suo rapporto con Márquez durante le riprese?

Mike Newell: In quel periodo lui era malato, faceva la spola tra Mexico City e Los Angeles per le cure. Ogni volta che io potevo vederlo, lui era su un aereo. Così abbiamo comunicato sulla carta…le sue off-script notes erano molto amichevoli e molto radicali. Una frase, che in fondo era anche buffa, mi terrorizzava: ‘Dov’è il mio lavoro di cucito? Dove sono i miei punti?”. Finii per leggere il libro ossessivamente. Così ho cominciato a vedere questa sorta di 'preparazione di impasto' che è la sua scrittura: schiacci l’impasto, lo batti, lo rendi sottile, lo ripieghi, e ricominci: lo schiacci…alla fine inforni, gli strati si separano e tutto riesce. La scrittura di Márquez è così: parte da un evento secondario, se ne allontana, poi ci ritorna e aggiunge nuovi particolari. Questo romanzo è un’opera di costante riscrittura. Ovviamente, non potevo fare la stessa cosa nel film! Márquez, comunque, dopo la visione della pellicola si è girato verso di me e ha fatto: ‘Wow!’ Suo figlio ha confermato che il film gli è piaciuto…

Giovanna Mezzogiorno: Credo che L’amore ai tempi del colera sia il suo libro più cinematografico. Immagini e storia sono molto forti, i personaggi sono concreti e terreni.

 

Lei con Harry Potter e il calice di fuoco ha portato sullo schermo un romanzo completamente diverso, per un pubblico completamente diverso. Quali sono le qualità di 'L’amore ai tempi del colera' da non perdere nel processo di trasposizione?

MN: Con Harry Potter è stato facile: si trattava di prendere il libro ad accettate! Questo invece è stato il lavoro più difficile che ho fatto. Mi pento amaramente di ogni cosa che ho dovuto tagliare. Poi devi chiederti: per chi lo fai? Per una nicchia, o per un grande pubblico? Un film per ‘specialisti’ o un film più generoso? Io ho amato profondamente il libro, e ho scelto di rivolgermi a quanti più spettatori possibile. Questo ha condizionato le decisioni successive.

GM: Il regista e lo sceneggiatore Ronal Harwood hanno fatto un miracolo. E’ un libro enorme, il film condensa settant’anni in due ore. Quando ho saputo del progetto, non capivo come fosse possibile farlo in meno di sei ore. E’ molto difficile trovare un equilibrio tra la necessità di tagliare e quella di rendere l’essenza dei personaggi. Ad esempio, la scena del mercato – quando Fermina rifiuta Florentino dicendogli: ‘No. Se ne dimentichi’ – nel libro è preceduta da dieci pagine di spiegazioni. La pressione di portare il libro nelle scene è stata enorme. Dovevamo dare noi quel pensiero, non avevamo dieci pagine dietro che lo spiegassero al posto nostro. E’ stata molto dura.

 

Perché ha scelto Giovanna Mezzogiorno?

MN: Per gli occhi! Volevo che la protagonista avesse le qualità fisiche capaci di lasciare senza fiato un ragazzino di sedici anni. In America latina le donne sono bellissime, occhi neri, capelli lussuriosi…gli occhi blu di Giovanna erano qualcosa che avrebbe fatto voltare gli uomini. E lei è un cavallo da corsa. Sin da piccola ha respirato recitazione. Mi aveva convinto negli altri film che ha interpretato. Il fatto poi che abbia lavorato con Peter Brook per me era una ulteriore sicurezza, ed ero certo che saremmo andati d’accordo.

 

Un film sull’amore, la follia, l’America Latina. Cosa l’ha guidata, cosa ha privilegiato dell’amore descritto da Márquez?

MN: Ho cercato di essere sudamericano! Credo che Márquez abbia fatto qualcosa che non si può vedere, che non si può dire per immagini: raccontare una grande storia umana, l’intero arco di una vita. La protagonista, anche a 72 anni, non capisce se con il matrimonio abbia davvero vissuto l’amore: se lo chiede fino alla fine. Florentino invece ha la certezza che si tratta di amore, e che potrà dire di averlo vissuto, anche se per un solo giorno. Questo è un coraggio che ho ritenuto dovesse essere ‘urlato’ ad ogni opportunità. E Márquez non scrive teoria, scrive di cose concrete. Quello che racconta è una verità letterale…

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