"Ho visto le stelle", di Vincenzo Salemme

Quello evocato da Salemme è un universo per certi versi fasullo, dominato da corpi ipercostruiti che non si impongono mai in modo diretto, ma sempre obliquo, in una rappresentazione dove il regista punta tutto sul potere della scrittura.

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A differenza dell'ingenuità candida e per certi versi trasparente di Pieraccioni, quello di Salemme è uno sguardo molto costruito e un cinema che dà sempre come l'impressione di mostrare più di quello che effettivamente rappresenta, con intenzioni che non di rado scavalcano l'immediatezza dell'immagine. In Ho visto le stelle il comico napoletano rifà apertamente il verso alla struttura di The Truman Show (anche se il suo personaggio, a differenza di Truman, si ritrova all'interno di un presunto reality show, senza accorgersi che è invece tutta una truffa), con la differenza che l'occupazione del video è qui in un certo senso un inganno, ma il suo cinema arranca negli spazi deputati alla messinscena, e non ha mai il coraggio di lasciarsi veramente andare. Da questo punto di vista allora ci ritroviamo all'interno di un universo affollato di figure che si muovono come in un cabaret (il nonno del protagonista, datore di preziose lezioni di vita, ma anche Renato, il boss del locale in cui il protagonista, lo stesso Salemme, trova lavoro come cameriere), in un moto meccanico e quasi mai veramente fisico, come animato da leggi che impongono passaggi obbligati e tempi precisi. In questo senso allora il pretesto narrativo (un'occhiata, come precisato al film di Weir, ma più che altro allo script di Niccoll, e un altro alla disperata rincorsa allo spazio televisivo di oggi) soffoca subito ogni spiraglio, mettendo in moto una serie di situazioni in cui si passa dalla farsa (quella capitanata dal protagonista che per l'ipotetico show deve fingersi gay) ad un caricaturale mèlo, con un'attenzione sin troppo ossessiva però al controllo del materiale a disposizione e alle sue stratificazioni. Quello evocato da Salemme è allora un universo per certi versi fasullo, dominato da corpi ipercostruiti che non si impongono mai in modo diretto, ma sempre obliquo, in una rappresentazione dove il regista punta tutto sul potere di una scrittura in cui si avverte pure l'eco della lezione pirandelliana (l'essenza e l'apparenza come temi dominanti) e per certi versi di quella di De Filippo, senza che però Salemme riesca mai a farla esplodere in una qualche immagine più personale.

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Regia: Vincenzo Salemme


Sceneggiatura: Vincenzo Salemme


Fotografia: Mauro Marchetti


Montaggio: Claudio Di Mauro


Musiche: Antonio Boccia


Scenografia: Stefano Giambanco


Costumi: Pamela Aicardi


Interpreti: Vincenzo Salemme (Antonio), Maurizio Casagrande (Eugenio), Alena Seredova (Alina), Fabio Bosco (il nonno), Venantino Venantini (Duilio Masera), Enzo Cannavale (il prete), Linda Moretti (la nonna), Claudio Amendola (Renato)


Produzione: Mikado Film/Chi è di scena


Distribuzione: Mikado


Durata: 91'


Origine: Italia, 2003


 

 

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