Holy Smoke

Titolo originale: Holy Smoke
Regia: Jane Campion
Sceneggiatura: Anna e Jane Campion
Fotografia: Dion Bebe
Montaggio: Veronica Jenet
Musica: Angelo Badalamenti
Scenografia e costumi: Janet Patterson
Interpreti: Kate Winslet (Ruth Barron), Harvey Keitel (P.J. Waters), Pam Grier (Carol), Julie Hamilton (Miriam, la madre), Tim Robertson (Gilbert, il padre), Sophie Lee (Yvonne), Daniel Wyllie (Robbie), Paul Goddard (Tim), George Mangos (Yani),Kerry Walker (Puss)
Produzione: Jan Chapman per Miramx Films
Distribuzione: Cecchi Gori
Durata: 114'
Origine: Usa, 1999

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La “moda” dell’India e del trovare se stessi in un film che svela l’inconsistenza di queste ricerche e dei fanatismi religiosi, che accecano e allontanano dalla realtà. L’inconsistenza, anche, delle teorie e dei modi occidentali usati per riportare i deviati fanatici sulla retta via. Fumo contro fumo. Ruth contro P.J. Waters. Due personaggi che si cambiano reciprocamente svelando le proprie debolezze e confutando le loro sicurezze.
Un’australiana in India, riportata in patria dai genitori e chiusa in una casa in mezzo al deserto insieme al suo salvatore, un “macho” che lo fa di professione: salvare le persone deboli irretite e abbindolate da santoni e sette religiose. Eppure lui stesso si presenta come un dio sceso in terra, un’autorità indiscussa che per salvare deve abbindolare nella stessa maniera dei santoni. Pane al pane. Due persone opposte obbligate alla convivenza, fino alla confusione dei ruoli: chi dei due è il paziente? Chi il debole da aiutare? La virilità di un uomo ormai non giovane viene indebolita e si annichilisce sotto la femminilità di una ragazza che sa come giocare e come accattivarsi un uomo; un uomo che raggiunge il ridicolo vestendosi da donna, umiliato sotto tutti i punti di vista, da quello umano a quello professionale. Due persone che conoscono la propria verità ma sono obbligati a tornare sui propri passi per rendersi conto che la verità assoluta non esiste, e che tutto è vero o falso a seconda di come faccia comodo. Due persone che devono eccedere, e confrontarsi duramente col proprio opposto, per trovare il loro equilibrio.
Ruth va a vivere in india con la madre, lasciando in Australia il resto – maschile – della famiglia… e il femminismo trionfa ancora. Scelgono la semplicità dell’India contro la razionalità dell’occidente, che tutto teorizza, tutto controlla, tutto schematizza. P.J. le scrive aggiornandola sulla sua vita, perché i due, logicamente, sono rimasti amici. Anche lui trova il suo equilibrio e smette di considerarsi un super-eroe virile e invincibile, ruolo affidatogli dallo schema sociale.
Conflittuale, visionario, grottesco, quest’ultimo film della Campion, un film tutto australiano (la regista, la protagonista, Alanise Morisette cantata da Ruth), e tutto al femminile (solo il musicista, Badalamenti, fa eccezione). Conflitti ben costruiti, effetti speciali per scene visionarie e pittoresche, eccessività per svelare l’umanità dei personaggi. Tuttavia qualcosa disturba: forse proprio le scelte registiche o i toni di narrazione fuori dai canoni soliti della Campion; non sono elementi negativi, ma sicuramente disorientano.

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