HOMEWORKS – Certain Women, di Kelly Reichardt

In una circolarità narrativa essenziale e rigorosa, la macchina da presa della Reichardt rimane in attesa di cogliere le increspature impercettibili degli sguardi e dei volti delle quattro protagonist

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Tre storie, quattro donne. Certain Women si apre con l’immagine sospesa, senza inizio né fine, di un treno merci che, riportando per un attimo agli occhi il finale di Wendy e Lucy, rompe, con il lento passaggio del suo fischio, il silenzio dei monti che s’innalzano all’orizzonte, lo stesso orizzonte che un tempo abitava nel riflesso proiettato dagli sguardi desideranti dei pionieri di Meek’s Cutoff.

certain-womenKelly Reichardt parte da Both Ways Is the Only Way I Want It: Stories, la raccolta di racconti di Maile Meloy, questa volta, la prima dopo quattro film scritti insieme, senza Jon Raymond, per continuare a disegnare quel movimento di attraversamento e smarrimento che, imprigionando i personaggi nell’attesa di qualcosa ancora a venire, informa da sempre il suo cinema. In una circolarità narrativa essenziale e rigorosa, con la stessa voce alla radio ad aprire e chiudere il film, la macchina da presa della Reichardt non va cercando la progressione. Piuttosto, nel suo movimento da road movie atipico dove non esiste un arrivo, solo i piccoli gesti compiuti durante la strada, magari in sella ad un cavallo per arrivare al diner dopo una lezione serale di diritto scolastico, Certain Women rimane in attesa di cogliere le increspature impercettibili degli sguardi e dei volti. Increspature che, in silenzio, ci parlano di solitudine e di sconfitte, dei desideri di fuga proiettati dallo sguardo cerchiato di stanchezza certain-women

e insicurezza di Kristen Stewart e di quelle aspettative che hanno tutto l’aspetto di un salto nel buio, come il viaggio nella notte intrapreso per inseguire l’immagine di una possibile connessione sentimentale da Jamie, la ragazza indiana interpretata dall’intensissima Lily Gladson, che per un inverno lavora in un ranch perso ai confini del mondo.

Sotto un sole che è solo un punto gelido nel cielo, nel paesaggio isolato e solitario del Montana, con il senso di dispersione riflesso nell’immensità indifferente e malinconica della natura invernale a far da collante spaziale delle tre storie, Certain Women attraversa un mito americano ormai destrutturato, dove la Storia, svuotata di significato, si è lasciata dietro solo un’ombra straniata che danza insieme agli indiani troppo variopinti nell’esibizione carica di tristezza, incrociata dall’avvocato interpretato da Laura Dern in un centro commerciale. E il tradimento, tema centrale del film, che scivola da una storia certain-womenall’altra portandosi dietro un’angoscia senza parole, come le lettere mai scritte da Laura Dern a Jared Harris o il saluto muto di Kristen Stewart, è l’increspatura inquietante che si nasconde dietro al desiderio di trovare un riparo al senso di estraneità sperimentato, nel segmento centrale del film, dalla Gina di Michelle Williams, qui diretta per la terza volta da Kelly Reichardt. L’illusione di poter erigere il proprio rifugio davanti un universo relazionale ed emotivo andato in pezzi a partire da quelle pietre sulle quali l’America ha costruito se stessa e la sua immagine, mentre apre lateralmente uno squarcio di incredibile densità su un discorso già caro alla regista, il tema, dice la Reichardt, «del diritto di conquista su cui sono stati fondati il West e l’America stessa», disegna un’immagine ritornante che accompagna le traiettorie delle quattro protagoniste di Certain Women, quella di un luogo provvisorio, che si attraversa senza sapere come andrà a finire.

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