HOMEWORKS – La grande partita, di Edward Zwick

Ne La grande partita, lo script di Steve Knight rimane concentrato sull’involuzione umana di Fischer, costruita intorno alla storica “partita del secolo”.

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Se mio padre dovesse fare una classifica delle tante passioni che non è riuscito a trasmettermi, probabilmente, tra i primi posti,  metterebbe quella per gli scacchi. I tentativi di avvicinamento al gioco sono stati continui e sinceri, ma con il passare degli anni le mie capacità di rimanere concentrato, attento ad ogni mossa, si sono inesorabilmente esaurite, impedendomi di essere “dentro” una partita per più di una decina di minuti. Nonostante questa mia incapacità mentale di stabilire un approccio alla disciplina, il simbolismo degli scacchi e, soprattutto, le storie incredibili dei maestri/artisti che ne hanno fatto la storia, hanno sempre scatenato in me un fascino irresistibile. Tra le tante vicende quella di Bobby Fischer ha una posizione di rilievo, grazie anche alla tragica teatralità del personaggio.  La scelta di Fischer è banale, ma è innegabile che la parabola del campione americano vada ben oltre la semplice “storia di scacchi” per diventare un magnifico racconto universale di autodistruzione.

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L’oblio che Hollywood ha riservato a Fischer fino, al Pawn Sacrifice di Edward Zwick, è indicativo della dimensione nefasta che lo scacchista ha raggiunto nella storia americana. La damnatio memoriae contro il ragazzo prodigio di Brooklyn, il freak capace di sconfiggere, da solo e in uno dei loro campi da gioco preferiti, l’impero sovietico, è solo una prevedibile e scontata reazione di un establishment culturale/patriottico pronto a esaltare gli eroi nazionali e altrettanto veloce a condannare chi, sugli stessi ori e allori, ha deciso di sputarci sopra. La personalità di Fischer e la sua magnifica follia sono temi quasi impossibili da trasformare in letteratura o cinema. I tentativi più degni, fino ad oggi, sono stati il bel romanzo di Vittorio Giacopini Re in fuga e il documentario di Liz Garbus Bobby Fischer against the world, opere interessate non solo alla parabola sportiva di Fischer ma soprattutto alla distruzione consapevole della propria gloria, del declino inevitabile verso l’esilio e la solitudine.

 

Il personaggio di Fischer, rappresentato con paranoide efficacia da un ritrovato Tobey Maguire, probabilmente nel primo ruolo “adulto” della sua carriera, se per quasi tutta la durata del film si muove eccitato come una grottesca e autistica macchietta, nel momento del suo trionfo, con il suo sguardo preoccupato di fronte gli applausi del suo avversario e della platea mondiale, fa esplodere la sua maledetta fragilità. La vicenda di Fischer, grazie al filtro di Knight e allo sguardo di Zwick, diventa, non lo sfoggio di un genio irrefrenabile, ma il prologo della morte di una stella. La storia de La grande partita, infatti, si esaurisce un attimo prima della lenta “scomparsa pubblica” di Fischer (riassunta in qualche immagine di repertorio). La vera vita dello scacchista, il suo deciso e naturale bisogno di crearsi il vuoto intorno, di svicolare l’abbraccio caldo ma soffocante di una Nazione cosi desiderosa di farlo diventare un’icona da rinnegarlo totalmente nel momento della rottura, è la materia fumante di un film non ancora prodotto, di cui La grande partita ne è solo il decoroso prequel.

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