HORROR & SF – Rites of Spring

rites of spring

Scritto e diretto dall’esordiente Padraig Reynods, Rites of Spring è un horror che ricerca la sua originalità nell’incontro tra il genere e il sottotipo thriller del kidnapping movie, il tutto immerso nella generale atmosfera rurale del midwest americano, tra I figli del grano di King e la ritualità cultista di tanto horror anni settanta

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Rites of Spring è uno di quei film da “nessuno si farà del male”, e poi invece piani rischiosi, rimorsi, conseguenze sanguinose. E’ un po’ come dire “torno subito”, firmare la propria condanna ad un esito disastroso. E infatti le cose possono andare davvero, davvero male se a fare da imprevisto è un mostro soprannaturale cui un’intera comunità sacrifica sé stessa pur di avere un raccolto eccezionale.

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Scritto e diretto dall’esordiente Padraig Reynods, Rites of Spring è un horror che vorrebbe essere atipico, ricercando la sua originalità nell’incontro tra il genere e il sottotipo thriller del kidnapping movie. Atmosfere e colori e riferimenti all’horror rurale dei seventies si innescano così in un racconto dal sapore noir; la corsa per la vita di una final girl sfuggita al massacro si interseca al piano di rapimento e riscatto tentato da una improvvisata combriccola di lavoratori frustrati. Ad unirli c’è la caccia di Wormface, protagonista di un rito che attende di essere propiziato a colpi di teste mozzate e crocifissioni. Tra The Wicker Man e Jeepers Creepers, Rites of Springs si spiega così nell’incontro fatale tra i due gruppi, nei cattivi che diventano vittime, inseguiti tra campi di grano ed edifici abbandonati, in un rovesciamento che funziona però solo sulla carta, perché tutto nel film di Reynods scricchiola e oscilla come una giostra rovinata e barcollante, tirata su senza alcun libretto d’istruzioni. Il tentativo era quello di fare due film in uno, di alternare i due registri fino al sanguinoso incontro dell’ultima parte, ma il risultato ha il sapore dell’effimero. Poco o nulla veniamo a sapere di ciò che circonda il rito perché è tutto affidato alla memoria collettiva del già visto, mentre l’esito del rapimento non può suscitare alcun interesse tanto ne è affrettata la costruzione ed evidente la mancanza di spessore nei personaggi.

 

Dove Reynolds centra qualcosa è allora nella generale atmosfera rurale del midwest americano, tra I figli del grano di King e la ritualità cultista di tanto horror anni settanta, ma poco o nulla risulta veramente incisivo o degno di memoria, tutte le suggestioni iniziali sfociano soltanto in un banale inseguimento slasher, mentre la parte thriller del plot esce di scena a colpi di accettate e mani mozzate. Rites of Spring è allora un esempio in piccolo di quanto corto possa essere il fiato di certe rielaborazioni se condotte senza creatività e talento, ricordandoci come il gusto cinefilo per la reinterpretazione non basti mai a sé stesso. Tuttavia se c’è una cosa che non manca a Reynolds è l’ottimismo, tant’è che il film vuole essere il primo episodio di un’ideale trilogia, un capitolo volutamente nebuloso e incompleto cui sarebbero dovuti seguire altri due film atti a spiegare i vari buchi lasciati dal capostipite. Il condizionale però è d’obbligo, tre anni sono passati e Rites of Spring: Devil Sent the Rain ancora non si scorge all’orizzonte.

 

 

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