HORROR & SF – Christopher Lee, Prince of Darkness: guida ai Dracula della Hammer
Il ruolo interpretato dall’attore nei sette film Hammer ha influenzato in maniera indelebile l’iconografia del personaggio nato dalla penna di Bram Stoker. In occasione dei due anni dalla morte
Christopher Lee non amava (più) il personaggio di Dracula, e questa ormai è cosa nota. O meglio, non amava essere ricordato unicamente per questa sua interpretazione: il che è abbastanza comprensibile, considerando che al momento della sua morte (avvenuta a Londra il 7 giugno 2015) il grande attore inglese poteva vantare un curriculum di circa 280 pellicole, dagli esordi nel secondo dopoguerra fino a Lo Hobbit di Peter Jackson. Pare addirittura che negli ultimi anni, durante fiere e convention, si rifiutasse categoricamente di autografare ai fan materiale relativo a Dracula, accettando invece di firmare merchandising di Star Wars o Il signore degli anelli; ma al di là di tutto questo e nel pieno rispetto delle scelte del singolo, rimane il fatto che il ruolo da lui interpretato nei sette film prodotti dalla Hammer ha influenzato in maniera indelebile l’iconografia del personaggio nato dalla penna di Bram Stoker. In parole povere, nessun altro attore (tranne forse solamente Bela Lugosi) potrà mai essere Dracula nell’immaginario collettivo come e quanto è stato Christopher Lee. E questo è un dato di fatto incontrovertibile.
Per risalire all’origine del Mito è necessario tornare indietro nel tempo fino al 1957, anno in cui la Hammer, una piccola casa di produzione inglese fino ad allora conosciuta prevalentemente per commedie e noir e fresca del successo dei primi due capitoli della saga fantascientifica del Dottor Quatermass (L’astronave atomica del Dottor Quatermass e I vampiri dello spazio), decise di tentare la strada dell’horror acquistando i diritti nientemeno che del celebre Frankenstein, scontrandosi però con i veti posti dalla Universal che ancora deteneva il copyright sulle scenografie e sul trucco di Jack Pierce applicato a Boris Karloff. Il risultato fu La maschera di Frankenstein, che oltre a rivelarsi un incredibile successo commerciale è ancora oggi un titolo chiave per la nascita del filone gotico europeo, nonché uno dei primi horror a utilizzare il colore in chiave realista. Christopher Lee e Peter Cushing, fino ad allora poco noti al grande pubblico, si trasformarono così in volti iconici del genere e la Hammer mise immediatamente in cantiere Dracula il vampiro: l’intenzione era quella di dare il via a un vero e proprio restyling in salsa britannica dei mostri classici del cinema americano anni Trenta, in crisi dopo quasi tre decenni di saturazione che avevano portato al disinteresse degli spettatori e all’inevitabile degenerazione nella parodia (celebre quella di Il cervello di Frankenstein, in cui Gianni e Pinotto recitavano a fianco di Bela Lugosi e Lon Chaney Jr). Ebbe così inizio un ciclo di pellicole che dal 1958 continuò fino al 1973, anno di I satanici riti di Dracula: un periodo in cui, oltre al celebre vampiro, la Hammer riportò in vita tutte le principali creature dell’immaginario orrorifico classico, da La mummia a Il fantasma dell’opera, dalla figura del licantropo (L’implacabile condanna) a quella dello zombie pre-Romero (La lunga notte dell’orrore), senza lesinare in sequel (sette film in tutto per il ciclo Dracula, sette per quello di Frankenstein, quattro per La mummia, più tutta una serie di titoli fuori serie e reboot ante litteram) e che trovò nei mostri creati da Bram Stoker e da Mary Shelley i due personaggi più rappresentativi di tutta la sua intera produzione.
Nel complesso, la saga del Conte non raggiunge le vette qualitative ottenute da quella di Frankenstein, che grazie soprattutto a quattro capitoli (La maschera di Frankenstein, La vendetta di Frankenstein, La maledizione dei Frankenstein e Distruggete Frankenstein!, tutti di Terence Fisher) rimane tra i risultati più alti mai ottenuti dalla Hammer; ma nonostante ciò, grazie alla figura del vampiro la casa di produzione inglese riuscì ugualmente a mettere in piedi una saga horror fondamentale per la storia del genere sia in termini di immaginario che di potenza evocativa. Perché questo Dracula ha attraversato gli anni Sessanta mettendo alla berlina il conformismo e il puritanesimo della borghesia inglese, utilizzando il pretesto dell’ambientazione vittoriana (almeno nei primi cinque capitoli) per mettere in scena la crisi dei costumi di un’epoca che stava tentando inutilmente di resistere a un vento di cambiamento che di lì a breve avrebbe travolto ogni cosa. Di questi film Christopher Lee difendeva a spada tratta solamente i primi due, quelli diretti da Terence Fisher (regista straordinariamente dotato che oggi meriterebbe una rivalutazione più attenta), accusando i successivi di aver snaturato la personalità della creazione di Bram Stoker per inseguire le tendenze più passeggere dell’epoca: accusa in parte fondata, come vedremo più avanti nel dettaglio.
Prima di analizzarli, però, vale la pena sottolineare che il ciclo di Dracula non rappresenta l’unica incursione della Hammer all’interno dell’universo vampiresco: da ricordare almeno Le spose di Dracula (in cui Cushing riprende il ruolo di Van Helsing, ma a dispetto del titolo la figura del Conte è assente), la trilogia di Karnstein tratta da Carmilla di Sheridan Le Fanu (Vampiri amanti, Mircalla, l’amante immortale e Le figlie di Dracula), il bizzarro Capitan Kronos – Cacciatore di vampiri e il tardo La leggenda dei 7 vampiri d’oro (tentativo di rinverdire i fasti del genere contaminandolo con l’allora nascente filone delle arti marziali). Al di fuori delle produzioni Hammer, invece, Lee vestirà i panni del personaggio anche ne Il conte Dracula di Jess Franco (1970, tra le prime trasposizioni fedeli al romanzo di Stoker) e nella commedia Dracula padre e figlio di Edouard Molinaro (1976).
DRACULA IL VAMPIRO (Dracula, conosciuto anche come Horror of Dracula, 1958), di Terence Fisher
Spacciandosi per bibliotecario, Jonathan Harker riesce a infiltrarsi nel castello del Conte Dracula, ma viene scoperto e trasformato in vampiro. Sulle sue tracce si mette il dottor Abraham Van Helsing, esperto in materie occulte, che con l’aiuto di Mina e di suo marito Arthur cercherà di porre fine alle malefatte del mostro.
Uno dei capolavori massimi di Terence Fisher e della Hammer. La sceneggiatura di Anthony Hinds compie un’efficace operazione di sintesi sul romanzo di Stoker, stravolgendolo in più parti ma lasciandone intatto lo spirito originale: il risultato è un’opera seminale per la storia del genere, in grado di influenzare tutto quello che sarebbe venuto poi. Il tema classico della contrapposizione tra Bene e Male (che il regista proseguirà nel ciclo di Frankenstein, portandolo fino alle estreme conseguenze) si tinge di sfumature alle quali il pubblico dell’epoca non era abituato, e trova nella figura di Dracula l’elemento di distruzione dei valori portanti della società Vittoriana, conservatrice e puritana. Ma il punto di forza maggiore della pellicola risiede nell’interpretazione di Christopher Lee, che regala al mondo un vampiro sensuale e romantico come mai se ne erano visti fino a quel momento; e l’alchimia tra lui e Peter Cushing nel ruolo di Van Helsing è semplicemente perfetta. I canini aguzzi di Dracula, assenti sia nel romanzo che in qualsiasi trasposizione precedente, sono l’ennesima dimostrazione del genio di Fisher: da questo momento in poi diventarono il sinonimo stesso di vampiro nell’immaginario collettivo. Alcuni set sono gli stessi di La vendetta di Frankenstein, sempre di Fisher, girato nello stesso anno. Epocale e imperdibile.
DRACULA PRINCIPE DELLE TENEBRE (Dracula: Prince of Darkness, 1966), di Terence Fisher
In vacanza sui monti Carpazi, due coppie di incauti viaggiatori decidono di trascorrere la notte nel castello di Carlsbad, dove il servitore Klove uccide uno di loro e ne utilizza il sangue per resuscitare il suo padrone, il Conte Dracula. Dopo aver vampirizzato la moglie della vittima, Dracula cerca di fare lo stesso con i restanti due, ma questi riescono a fuggire e a chiedere l’aiuto di padre Sandor.
Realizzato ben otto anni dopo il capostipite, è il capitolo stilisticamente più elegante di tutto il ciclo, l’unico realizzato in cinemascope. Sul motivo per cui Dracula è muto per tutto il film circolano diverse teorie, la più accreditata delle quali è quella secondo cui Christopher Lee non approvasse la qualità dei dialoghi (come sempre la sceneggiatura è del fido Anthony Hinds, qui accreditato come John Elder). Tanti comunque i momenti memorabili, a cominciare dalla sequenza di resurrezione di Dracula (potete vederla qui), tra le più riuscite di tutta la saga. E Andrew Keir nel ruolo di padre Sandor riesce nell’impresa di non far rimpiangere troppo il Van Helsing di Cushing. Nonostante le inevitabili e giuste libertà in fase di scrittura, i legami col romanzo di Bram Stoker sono ancora piuttosto stretti: il personaggio di Ludwig è chiaramente modellato su quello del servitore Renfield, e Dracula abbevera le proprie vittime recidendosi un’arteria sul petto (anche se la sequenza è poco più che accennata). Come detto sopra, è l’ultimo film riconosciuto come valido da Lee, che in seguito sarà costretto a riprendere il personaggio per motivi esclusivamente contrattuali.
LE AMANTI DI DRACULA (Dracula Has Risen from the Grave, 1968), di Freddie Francis
Riportato in vita grazie all’incauto intervento del vescovo Muller e di padre Kurt, che volevano accertarsi della sua morte (avvenuta un anno prima), Dracula si reca a Keinenberg per vendicarsi del vescovo cercando di trasformare in vampiro la sua giovane e bella nipote, ma lì si scontrerà con la resistenza e la tenacia del fidanzato di lei.
Per volere della distribuzione americana la regia passa nelle mani di Freddie Francis, ottimo direttore della fotografia che per la Hammer aveva già diretto La rivolta di Frankenstein: dal punto di vista visivo è il capitolo più sorprendente del ciclo, grazie a una sperimentazione cromatica frutto della collaborazione tra il regista e l’operatore Arthur Grant. Da questo momento in poi, le vittime femminili di Dracula cominciano a spogliarsi e a far intravedere le forme prosperose (anticipando una tendenza che di lì a breve diventerà la norma: Vampiri amanti di Roy Ward Baker uscirà due anni dopo); ma il valore del film risiede soprattutto nella contrapposizione tra fede e ragione, con un Male inarrestabile scaturito dalle gesta di chi invece è armato delle migliori intenzioni e cerca inutilmente di propagare il Bene.
UNA MESSA PER DRACULA (Taste the Blood of Dracula, 1970), di Peter Sasdy
Il giovane Lord Courtley approfitta di tre ricchi nobili in cerca di emozioni forti per resuscitare Dracula, ma rimane ucciso durante il rito. Per vendicarsi, il vampiro non si limiterà soltanto ad ucciderli, ma placherà la sua sete di sangue anche sui loro figli.
Comincia esattamente dove terminava il precedente, e in qualche modo ne prosegue anche il discorso sul dilagare del Male: anticipando di quattordici anni quello che poi sarà il Freddy Krueger di Wes Craven, qui Dracula colpisce la generazione dei figli delle sue vittime, e la sceneggiatura di Anthony Hinds accentua ancora di più la componente erotica del protagonista e dei personaggi femminili (emblematico in questo senso il titolo originale). Ma è anche una riflessione interessante e non banale sulla ribellione sessantottina contro i padri, puritani a parole e libertini nei fatti. Peccato solamente che Sasdy non possieda lo stesso talento visivo di Fisher e Francis, e che la sequenza di resurrezione sia una delle meno affascinanti di tutte. Da questo momento in poi il finale affrettato diventerà una costante all’interno della saga; in compenso però James Bernard firma una delle sue colonne sonore più riuscite.
IL MARCHIO DI DRACULA (Scars of Dracula, 1970), di Roy Ward Baker
Dracula viene riportato in vita grazie al sangue di un pipistrello, ma la sua dimora viene data alle fiamme dai paesani impauriti; per vendicarsi, il Conte compie una strage in chiesa massacrandone tutte le mogli. Dopo aver ucciso un giovane in fuga dalle autorità che si era rifugiato nelle rovine del suo castello, dovrà fare i conti con la fidanzata e il fratello della sua vittima.
Il capitolo più debole di tutta la saga è quasi un reboot del primo film, del quale ne ignora totalmente i seguiti. È certamente l’episodio più cruento e sanguinario, con dettagli al limite del gore e un tasso di crudeltà superiore alla media del periodo: ma le idee latitano, e la poesia del macabro di Terence Fisher è ormai solamente un pallido ricordo. L’unico collegamento con il romanzo di Bram Stoker è nella sequenza in cui, per la prima volta, Dracula viene mostrato mentre si arrampica con disinvoltura sulle pareti del castello (scena poi ripresa da Francis Ford Coppola nella sua versione del 1992). Ottime le scenografie e le ambientazioni, meritevoli di occasioni migliori. Trascurabile.
1972: DRACULA COLPISCE ANCORA! (Dracula A.D. 1972, 1972), di Alan Gibson
Ai giorni nostri, Dracula viene riportato in vita grazie a una messa nera organizzata da John Alucard, discendente del servitore che ne conservò le ceneri dopo il fatale scontro con Van Helsing. Ma proprio il pronipote di quest’ultimo continuerà le gesta del suo avo pur di difendere la nipote Jessica dalle grinfie del vampiro.
L’ambientazione contemporanea è il tentativo disperato di ritrovare un rapporto con un pubblico che stava progressivamente rivolgendo la propria attenzione altrove: l’horror moderno stava avanzando a passi da gigante, e i mostri della tradizione classica appartenevano già al passato. Il canto del cigno di un cinema che stava scomparendo, e in quanto tale meritevole di rispetto: “spettri, fantasmi, magie nere e altre fesserie… È tutta roba ammuffita, superata” dice la nipote a Van Helsing, e in queste parole c’è tutto l’epitaffio di un mondo: la Hammer chiuderà i battenti alla fine del decennio. La didascalia in coda lascia intendere che nelle intenzioni questo doveva essere l’ultimo capitolo del ciclo, ma ne seguirà ancora un altro.
I SATANICI RITI DI DRACULA (The Satanic Rites of Dracula, 1973), di Alan Gibson
Scotland Yard si rivolge a Van Helsing per fare luce su una misteriosa setta esoterica che coinvolge le più alte cariche del Regno Unito; questi scoprirà che dietro si nasconde lo zampino di Dracula, riportato nuovamente in vita e intenzionato a sterminare l’umanità tramite una terribile epidemia.
Trasportato di peso nel mondo moderno, Dracula non si serve più di aiutanti deformi o emarginati bensì di politici e uomini delle alte sfere, e questa sembra essere l’unica idea – neanche troppo originale – della sceneggiatura di Don Houghton. La commistione tra horror e spy story tuttavia funziona, e il ritmo è piuttosto sostenuto. Lee e Cushing appaiono sempre più stanchi, ma da soli riescono ancora a tenere in piedi l’intero film. Conosciuto anche come Count Dracula and the Vampire Bride.