HORROR & SF – Germania underground da Spasmo Video

Per la prima volta in Italia, i titoli dimenticati di una stagione che attraverso toni sgangherati e messinscena amatoriale tracciava nuove strade per raccontare l’orrore del presente

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C’erano una volta gli anni Novanta, culla degli effetti digitali applicati in grande stile al cinema e della smaterializzazione di quel corpo che tanta centralità aveva rivendicato nel decennio precedente. Uno scenario in cui, giocoforza, per l’horror sembrava non esserci più posto, oggetto scomodo da rimuovere e magari lasciar risorgere sotto altre spoglie, fosse il pulp tarantiniano o le mostruosità tecnologiche della fantascienza più o meno distopica (da Matrix a Starship Troopers).

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In questo panorama, all’interno del quale Hollywood cedeva ai colpi dell’autocensura più implacabile, una certa risonanza se la ritagliò la Germania, teatro di una scena underground che, sebbene attiva già dagli Ottanta, nel vuoto di proposte del decennio successivo fu capace di attirare le attenzioni degli appassionati più avidi. Il nome di riferimento era e resta Jorg Buttgereit, ma accanto a lui nacque tutta una generazione di registi e tecnici degli effetti speciali: Olaf Ittenbach, Andreas Schnaas, Christoph Schlingensief, Timo Rose, Uwe Boll (l’unico poi ad aver avuto una carriera articolata)… eroi di una stagione poi dimenticata in fretta, come quelle pellicole realizzate con mezzi scarsissimi e nella grande maggioranza dei casi totalmente indifendibili sotto un profilo artistico e qualitativo.

I ricorsi storici però sono implacabili e il recente varo della collana Spasmo Video da parte dell’editore Home Movies apre un’insperata finestra proprio su quella produzione dimenticata, attraverso uscite DVD filologiche che rendono i titoli disponibili ufficialmente per la prima volta nel nostro paese, al di là delle circuitazioni finora carbonare tra i collezionisti. A spingere l’editore indipendente italiano a recuperare lo splatter tedesco è la voglia di riscoprire in maniera sistematica una proposta sgangherata ma assolutamente non compromissoria nella sua idea d’orrore e per questo forse capace di sintetizzare come poche lo stato delle cose di un genere oggi soverchiato dai meccanismi di massa e dalle logiche del facile salto sulla sedia.

In queste pellicole, infatti, si respira un’urgenza creativa che si intreccia a influenze disparate: dalla musica al fumetto, passando per la sperimentazione visiva evidente già nel lavoro a volte in analogico o con i pionieristici supporti digitali. E a vederle tutte di fila, in effetti, al di là della vertigine e dell’attacco sistematico al buon gusto (primo fra tutti quello basilare della messinscena…), le pellicole rivelano una compattezza tematica che fa pensare a un movimento consapevole. Emerge in filigrana, infatti, una visione nichilista del mondo, che nello sguazzare anche divertito nel sangue non recede di un millimetro da un ritratto al vetriolo del presente. Mutation di Marc Fehse è forse l’esempio più estremo, per l’ambiziosa idea di riportare al presente un vecchio virus nazista attraverso un’estetica psichedelica che trasforma il più classico zombie-movie in una sarabanda di immagini solarizzate, virate in tinte improbabili, in un andirivieni di prostetico e digitale che concretizza una sorta di poetica estetica del caos, dedicata provocatoriamente a George W. Bush (nel 1999, quindi in epoca pre-11 Settembre).

Nelle successive proposte di Rigor Mortis e Space Wolf, entrambi del 2003 di Timo Rose, si prosegue su una linea più deterministica nel raccontare la fine di ogni possibile livello di interazione sociale: abbiamo così due fratelli presi in ostaggio da una banda di sadici torturatori, e un gruppo di giovani in libertà vigilata, braccati da un licantropo venuto dallo spazio. Il tutto senza facili concessioni al lieto fine. Quand’anche il presupposto potrebbe essere demenziale o intinto nelle atmosfere del fantasy più classico, tutto è funzionale a un ritratto umano incattivito, dove i personaggi sono sempre pronti allo scontro e alla sopraffazione reciproca. Arriva invece dalla Svizzera tedesca Deuteronomium, di Roger Grolimund (2004), che sancisce la caduta di un altro totem, quello religioso, con la storia di un serial killer ispirato da visioni mistiche e da un angelo che lo invita a punire i peccatori: forse il miglior titolo dei quattro per l’impianto capace di tratteggiare con poco l’atmosfera onirica in cui si muove il protagonista e per gli effetti di Olaf Ittenbach, più a suo agio che nelle citate pellicole di Rose.

Le quattro proposte qui elencate, che costituiscono il primo di vari lotti proposti da Spasmo Video, possono naturalmente scoraggiare lo spettatore meno avvezzo, per l’estetica traballante e i tempi morti elevati ad autentico sistema, pur nella durata spesso appena superiore al mediometraggio. Un modo, forse, per restituire il senso di smarrimento e vuoto della gioventù narrata. Ineccepibile invece la presentazione dell’editore, la cui onestà è evidenziata anche dal ruolo di direttore artistico conferito a Alex Visani, filmmaker autenticamente indipendente nostrano, che fa da guida tra le varie proposte con delle apposite (e benevole) introduzioni. I film sono proposti in versione sottotitolata e con corredo di contenuti speciali, e impreziosite dalle belle cover fumettistiche di Giorgio Credaro e Emma Cerri: i disegni sono naturalmente estremi e eccessivi, coerenti con il tono sopra le righe dei film e capaci perciò di sottolinearne ancora una volta la peculiarità. Un’occasione utile a chi vuole approfondire una stagione dimenticata del cinema e una voglia di raccontare l’orrore nonostante tutto.

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