Hostile, di Mathieu Turi

Incubo post-apocalittico on the road dalle potenti venature romantiche, costruito su due livelli di racconto diversi per cronologia, location e tematiche narrate. Omnia vincit amor

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Hostile è il primo lungometraggio scritto e diretto da Mathieu Turi, classe 1987, nativo di Cannes, già assistente alla regia per Quentin Tarantino (Bastardi Senza Gloria, 2009), Guy Ritchie (Sherlock Holmes – Gioco di Ombre, 2011) e Luc Besson (Lucy, 2014). Dopo aver realizzato due cortometraggi (Sons of Chaos, 2011; Broken, 2013), il trentenne regista francese firma questo incubo post-apocalittico on the road dalle potenti venature romantiche.

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La Terra è stata colpita da una devastante epidemia che ha lasciato in vita solo poche migliaia di individui. Il pianeta è ora un ambiente ostile, in cui è difficile trovare cibo e rifugio. Nella loro lotta per la sopravvivenza, i pochi superstiti hanno scoperto di non essere soli: la notte, strane creature si aggirano a caccia, costringendoli a vivere nascosti. Juliette (Brittany Ashworth) è sopravvissuta all’apocalisse: la vita passata le ha insegnato a combattere e lottare. Un giorno, mentre sta attraversando il deserto di ritorno verso il campo base, perde il controllo dell’automobile: con una gamba rotta, rimane bloccata e intrappolata nel mezzo del nulla. E qualcuno o qualcosa sta arrivando.

Hostile è prima di tutto un film costruito su due livelli di racconto diversi per cronologia, location e tematiche narrate: un presente distopico e desolato in cui, in un deserto senza fine, si va a caccia di generi di prima necessità e di mostri da annientare e un passato “borghese” e affollato in cui, in una metropoli baluginante di luci, si svolgono normalmente le vite dei protagonisti, tra problemi di tossicodipendenza, mostre di Bacon, approcci gala

coverlg (3)nti, storie d’amore, liti furiose, annessi e connessi. Il film procede attraverso un montaggio alternato di scene dal presente e dal passato, in una serie senza soluzione di continuità di flashback e di momento cogente che costituisce al tempo stesso un pregio ed un limite, stemperando sapientemente la tensione e trattenendola per il prossimo colpo ad effetto tra un momento e l’altro del racconto, ma finendo inevitabilmente per sfilacciare troppo la narrazione in un rivolo di frammenti visivi e dialogici – per altro non tutti degni di essere raccontati, diciamolo pure – che spezzano eccessivamente l’unità di tempo e di luogo. Il gioco dei riferimenti cinematografici, come in ogni sci-fi apocalittico che si rispetti, ha un suo fascino estetico ed una sua dignità di rivisitazione personale: dalla saga di Mad Max (in particolare, Mad Max: Fury Road, 2015, di George Miller) a Le Colline hanno gli Occhi (1977) di Wes Craven (ma più ancora il remake diretto da Alexandre Aja nel 2006), da Invasion (2007) di Oliver Hirschbiegel a Io Sono Leggenda (2007) di Francis Lawrence fino a Predator (1987) di John McTiernan. E diverte constatare come il τόπος della macchina che si inceppa, si capovolge o prende fuoco nel deserto sia un espediente ricorrente in moltissimi film horror e sci-fi degli ultimi anni, quasi a ricordare che forse sarebbe meglio diffidare della tecnologia e del comfort e cominciare a muoversi sulle proprio gambe. Brittany Ashworth si rivela particolarmente efficace e coolnel ruolo dell’eroina slasher in canottiera, sporca e sudata, fragile e “cazzuta” insieme, coraggiosa e lamentosa, tutta lacrime e sangue, mentre non convince appieno nell’altra metà in cui si struttura il film, quella, appunto, del passato civilizzato ed urbano – per quanto tormentato – della protagonista. Il problema di Hostile è anche questo: due registri narrativi visivamente e stilisticamente agli antipodi, diseguali per interpretazioni ed intensità, per aderenza emotiva al personaggio e per spessore drammatico: sembra di passare in un nanosecondo da un classico escape horror tutto distruzione e virus epidemici ad una commedia sentimentale in salsa soap piena di vezzeggiativi, ammiccamenti e dialoghi stucchevoli. In poche parole, Hostile si complica la vita da solo, pur avendo da sparare alcune cartucce niente male da utilizzare per inchiodare lo spettatore allo schermo. Le scene di caccia in stile “gatto con il topo” che si instaurano tra Juliette e l’orribile creatura “mutata” sono viste e riviste, certo, eppure risultano godibili e fanno trattenere il respiro, grazie anche alle riprese in notturna, ai sinistri grugniti degli infetti, al gracchiare della gigantesca ricetrasmittente, al bagliore fluorescente delle luci segnaletiche. Insomma, un mix funzionale e ben dosato di trovate tipiche del genere che assicurano un certo numero di jump scare di spessore. Il finale, spiazzante e melodrammatico, piacerà sicuramente agli animi più romantici e ricorda davvero molto da vicino l’epilogo di 30 Giorni di Buio (2007) di David Slade: ma qui le cose o si fanno in due o niente e quindi il picco di romanticismo pulp o, se preferite, granguignolesco è assicurato. Diventa allora una questione di gusti personali più che di giudizi tecnici o estetici. In ogni caso, il fatto che la pellicola sia stata premiata dalla giuria dei giovani al Neuchâtel International Fantastic Film Festival qualche cosa deve pur significare: omnia vincit amor, evidentemente, in barba ai cultori dello sci-fi crudo, nudo e puro.

dentro-120Racconta il regista francese: “Abbiamo scelto di lanciare un trailer che in un certo senso spiazzasse il pubblico: sapevamo che si trattava di un rischio, ma volevamo rendere perfettamente complementari le due parti del racconto, in maniera da distribuire lo sviluppo dei due momenti, potremmo dire proprio dei due generi – la love story e lo sci-fi orrorifico – in maniera equa. Il film è stato girato in Marocco per le scene del presente ambientate nel deserto e a New York per quelle del passato. Nelle varie location abbiamo dovuto far fronte a delle difficoltà di ripresa di varia natura: ad esempio, negli USA è difficile ottenere tutti i permessi del caso e ci sono state delle mobilitazioni sindacali al punto che è venuta a farci visita addirittura la polizia, mentre in Marocco, naturalmente, ci si è dovuti adattare alle condizioni meteo particolari di quella regione desertica, con tanto di rettili e scorpioni velenosi. Non è stato semplice lavorare con tre crew diverse. Per quanto riguarda le influenze, è ovvio che tutti i grandi capolavori della fantascienza cinematografica restino nella mente di noi registi attuali e, a livello più o meno consapevole, forniscano degli stilemi e dei riferimenti imprescindibili. Parlo di Alien e degli altri classici del genere. Naturalmente ho visto e amato molto Mad Max – Fury Road, ma questo è un film diverso: un film di amore e di sciacalli”.

Titolo originale: id.
Regia: Mathieu Turi
Interpreti: Brittany Ashworth, Grégory Fitoussi, Javier Botet, Jay Benedict, David Gasman, Richard Meiman
Distribuzione: Twelve Entertainment
Durata: 83′
Origine: Francia, 2017

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