Hot Milk, di Rebecca Lenkiewicz

Emma Mackey, Fiona Shaw e Vicky Krieps nell’esordio dietro la mdp della sceneggiatrice di Ida e Anche io: grumo di dolore matrilineare che insegue una simmetria asfissiante. BERLINALE 75 – Concorso


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Atteso esordio dietro la mdp (già cooptato da Mubi) di una delle sceneggiatrici più in voga degli ultimi anni, Hot Milk è l’adattamento del fortunato romanzo omonimo di Deborah Levy da parte di quella Rebecca Lenkiewicz autrice dello script di Ida e poi via via di Colette, The Eddy, Small Axe, Anche io. Lenkiewicz si affida ad un cast intergenerazionale di donne che regala così alla Emma Mackey di Sex Education la sua prima prova drammatica da protagonista, coadiuvata da Vicky Krieps e dalla veterana Fiona Shaw, tornata sulla cresta dopo la bella partecipazione alla True Detective di Issa Lopez.
Questo circolo di personaggi femminili ruota incessantemente intorno al dolore, e tutta questa sofferenza si passa con ogni evidenza per trasmissione matrilineare, è una forma liquida che sommerge le esistenze delle protagoniste senza possibilità di risalire davvero in superficie, come sottolineano con insistenza le metafore ripetute del film (l’oceano, la puntura paralizzante delle meduse, gli inserti da riprese di antichi rituali per gli studi di antropologia di Sofia, l’immobilità sulla sedia a rotelle che insegue Sofia nei suoi incubi versus il cavallo libero sul quale arriva come una visione Ingrid…). Sulle coste spagnole l’anziana donna inglese Rose cerca un’ultima possibilità per risolvere la paralisi delle gambe che pare imperdirle di camminare da una vita intera, da quando cioé la figlia Sofia aveva appena quattro anni: il dottor Gomez (Vincent Perez) intuisce subito che si tratti di una questione psicosomatica le cui cause vanno ricercate nel passato familiare di Rose, e così Sofia, che da sempre si è fatta carico nel quotidiano della malattia della madre, si mette ad investigare. Sarà per lei l’inizio di un percorso di scoperta innanzitutto personale e di confronto con entrambi i genitori (il padre, greco, ha abbandonato la famiglia e si è fatto una nuova vita ad Atene).

Rebecca Lenkiewicz decide di portare fino in fondo la parabola delle tragedie esistenziali di cui questa storia vuole farsi carico, e Hot Milk di certo non dà scampo riguardo a scene madri, lacrime e crisi isteriche: si tratta di una direzione che porta ben presto il film ad assumere la natura di una sorta di espiazione spettatoriale (come il povero cane nero legato sul tetto dai vicini), anche perché la psiche malconcia di Sofia fa ben presto dubitare della dimensione in cui vediamo accadere gli eventi, se si tratti di visioni interiori o effettivi risvolti inaspettati nella placida e assolata estate iberica.
Il limite principale dell’opera prima non sta allora tanto nella sequela di vicende terribili che sembra attanagliare il passato di ognuno dei personaggi, quanto nell’eccessivo ricorso di Lenkiewicz ad una specie di simmetria ritornante delle figure, dei simboli, delle traiettorie: l’intera sezione che riguarda l’entrata in scena della donna di cui Sofia si invaghisce, ovvero la Ingrid fricchettona di Vicky Krieps, risulta così fin troppo scopertamente strumentale ad avere un raddoppio “personale” per la protagonista delle vicende di famiglia e “sorellanza” che la madre ha tenuto celate per anni.
Una volta intuito lo schema (esattamente come fossimo nei panni del dottor Gomez), il risultato paradossale è che tutto questo grumo di disperazione finisca quasi per essere disinnescato, nonostante il finale ad effetto (che ovviamente l’abile sceneggiatrice non perde l’occasione di suggerire in una sequenza precedente…).

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
1 (1 voto)

Sentieriselvaggi21st n.19: cartacea o digitale


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