Houria, di Mounia Meddour

Il corpo di Houria diventa un crocevia di linguaggi e desideri, che da individuali si fanno collettivi grazie allo sguardo sensibile di Meddour. Concorso

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Il corpo di Houria, protagonista del nuovo film della regista algerina Mounia Meddour presentato alla Festa del Cinema di Roma, è un crocevia. L’occhio della macchina da presa che riprende le sue braccia, le sue gambe mentre danza sta percorrendo in realtà vie nelle quali si incontrano linguaggi, desideri e storie che trascendono la dimensione individuale. A essersi spezzata, insieme alla sua gamba e alla sua voce, è l’Algeria, con ferite che molti vorrebbero già in fase di cicatrizzazione, ma che in realtà ancora sanguinano.

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Houria è infatti una ballerina che si appresta a giocarsi la sua grande occasione portando in scena il Lago dei cigni. Finiti gli allenamenti, condotti da una madre tanto severa nel contesto professionale quanto tenera e dolce al di fuori, lavora come donna delle pulizie in un albergo. Eppure, tanto per lei quanto per la sua migliore amica che sogna di trasferirsi in Spagna, questo non basta a mantenersi. Quindi di nascosto va ai combattimenti di montoni, piazzando delle oculate puntate che le permettono di arrotondare. Proprio la sera prima dello spettacolo, però, viene aggredita da un uomo. Le ferite più profonde che riporta non sono però quelle fisiche, nonostante siano gravi: per il trauma perde la voce e il suo luminoso sorriso.

Proprio quando Houria comincia a frequentare un istituto di riabilitazione il racconto del film diventa più aperto e non solo per il fatto che la ragazza entra in un gruppo di recupero formato da sole donne. Infatti, l’aggressore, facilmente rintracciato dalla polizia, risulta un intoccabile in quanto vecchio terrorista ora pentito, tanto che anche un’avvocatessa in passato militante le consiglia di trasferirsi piuttosto che cercare giustizia. Houria, però, non ha alcuna intenzione di mollare e progetta una scuola di danza che sia anche un appoggio per donne che hanno subito traumi e violenze.

Lo sguardo della Meddour è di una sensibilità tale da riuscire a intercettare tutto questo e cristallizzarlo sul corpo della sua protagonista, una straordinaria Lyna Khoudri (The French Dispatch), riuscendo a trasmetterne la gioiosa vitalità e l’incredibile sofferenza del vederla strappata. Le sequenze di ballo, di una leggiadria sublime, riescono a trovare nell’intimismo più spinto una vocazione collettiva commovente e trascinante. Così, rimanendo vicina alla sua protagonista, Meddour riesce a raccontare con estrema efficacia un tentativo di guarigione che non guarda a coprire le proprie cicatrici, ma a percorrerle alla ricerca di una nuova voce.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
4.67 (3 voti)
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