HUNGAROCINEMA: dieci anni di cinema ungherese

L'Ungheria si presenta al nostro paese e all'Europa, in vista del suo prossimo ingresso nella Comunità Europea. Nell'ambito di questa rassegna è stato possibile conoscere il “nuovo” cinema magiaro: quello dei Gothár, deii Fehér, e anche del Béla Tarr de “Le armonie di Werckmeister”

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2002, stagione della cultura ungherese in Italia: l'Ungheria si presenta al nostro paese e all'Europa, in vista del suo prossimo ingresso nella Comunità Europea. Quell'Ungheria che fu la preferita dall'Occidente tra le nazioni del blocco sovietico, grazie a Imre Nagy prima e a János Kádár poi; con la sua capitale – rasa al suolo dai nazisti, invasa dai carri armati sovietici – situata più a sud di Parigi e più ad ovest di Atene. Oggi questa nazione – dove è facile percepire un distacco tra Budapest, moderna città aperta al mercato, e le province, tradizionalmente avverse al capitale – sta per entrare in Europa; e si presenta al nostro paese con una serie di iniziative culturali coordinate sotto il titolo "Ungheria in primo piano": un'espressione cinematografica, quest'ultima, che evidenzia l'interesse della patria di Gaál e Jancsó per quest'arte così adeguata a testimoniare l'idea di cambiamento.
 "HungaroCinema" è il titolo della rassegna del cinema ungherese che presenta opere degli ultimi dieci anni, oltre ad un omaggio ai già citati István Gaál e Miklós Jancsó, e ad alcune coproduzioni italoungheresi (ricorderemo Jona che visse nella balena di Roberto Faenza, o Il Consiglio d'Egitto di Emidio Greco). Collaborazione, quella tra Italia ed Ungheria, che risale addirittura agli anni '40, quando Maddalena zero in condotta e Teresa Venerdì, di Vittorio de Sica, trovavano i loro omologhi nei film Magdát Kicsapják e Pentèr Rèzi, di Lászlo Vajda, basandosi sugli stessi testi letterari di Miklós Kádár e Rezsó Torok. E' nell'ambito di questa rassegna che è possibile conoscere il "nuovo" cinema magiaro: quello dei Gothár, deii Fehér, e anche del Béla Tarr de Le armonie di Werckmeister (Werckmeister harmóniák, 2000), presentato a Cannes 2000, premiato a Bruxelles (Prix Cine Decouvert), a Budapest stessa (Gran Premio, Premio Critica Straniera), alla Berlinale (Premio Lettori Berliner Zeitung, miglior film del Forum).

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Béla Tarr nasce a Pecs nel 1955; inizia giovanissimo come cineamatore, e realizza a soli 22 anni il suo primo lungometraggio, Családi tüzfészek (Il nido familiare). Solo allora, dopo aver lavorato nello Studio Bela Balász, si iscrive all'Università di Arte Drammatica e Cinematografica, terminata la quale, nel 1981, fonda lo Studio di cinema Tarsulas (sciolto poi nel 1985). Nel 1989 si trasferisce a Berlino dove risiede fino al 1990, ospite del DAAD Kunstlerprogram berlinese. Allo stesso tempo è lettore ospite dell'Accademia Cinematografica e Televisiva di Berlino. Dal 1997, poi, è membro dell'Accademia Cinematografica Europea.
L'ossessione di Tarr è la continuità, l'assenza di fratture nel fluire del racconto, la ripetizione simmetrica, la persistenza delle immagini, il mantenimento della tensione emotiva; il suo simbolo, manco a dirlo, è il piano sequenza. Le armonie di Werckmeister, film che consiste di 39 inquadrature in 145 minuti di durata, rappresenta una sorta di marchio di fabbrica della poetica di Tarr: uno stile estremamamente formale, calcolato fin nel minimo dettaglio, con personaggi che si muovono all'interno dei piani come ballerine di prima fila del Bolscioi, ed oggetti che dosano luci ed ombre con precisione farmaceutica, su un bianconero dall'espressività addirittura dolorosa. Il film, che si basa su un racconto di Laszlo Krasznahorkai (Az ellenállás melankóliája – La malinconia della resistenza, 1989), è così denso di espressioni simboliche da lasciare sconcertati nel tentativo di risolverne gli enigmi metaforici, quasi come se il regista – termine che davvero, in questo caso, merita la sostituzione con "autore", se non "artefice" – avesse chiamato lo spettatore a partecipare ai propri sogni, incubi, desideri, allucinazioni, domandandogli solamente di lasciarsi andare alla danza della macchina da presa, al ritmo martellante delle scene scandite dal passo incalzante dei personaggi. Il limite di Tarr, come lui stesso sostiene, si chiama Kodak: "quella fottuta Kodak che fa bobine di soli trecento metri, poco più di dieci minuti… Una sorta di censura…".
La struttura narrativa, mutuata dal romanzo, si basa su una piccola comunità – non meglio precisata – situata nella pianura ungherese, colta in un momento storico anch'esso indefinito (ma situabile ai giorni nostri) e circoscritta attraverso l'osservazione del carattere emblematico di alcuni dei suoi componenti: il visionario Valuska, l'anziano e paranoico Eszter (alla ricerca di una nuova e più equilibrata combinazione degli accordi musicali, le "armonie di Werckmeister", per l'appunto), l'opportunista Tünde. Una comunità che vive il cambiamento da una distanza immensa: quasi si trovasse fuori dal mondo, immersa nelle profondità subacquee, dove i rumori dell'esterno giungono enormemente attutiti. Finché, un (bel?) giorno – anzi, una notte – giunge in paese un trattore con un enorme container a rimorchio, al cui interno si nasconde l'attrazione – la sola – di un "circo" molto particolare: una balena imbalsamata, la regina degli oceani, la dominatrice domata di un mondo d'acqua veramente insolito per una nazione priva di sbocchi sul mare. Ma il container nasconde anche una figura maligna, il misterioso ed invisibile nano chiamato "Principe", la cui sola presenza esercita sugli abitanti della piccola cittadina un influsso funesto tanto da portare al trionfo la violenza cieca e la distruzione.


La genesi del film è essa stessa una storia di vita difficile, con i suoi problemi di reperimento dei finanziamenti, di salute dei componenti del cast, di condizioni meteorologiche avverse; le difficoltà delle riprese – durate tre anni, ma con soli 68 giorni di girato vero e proprio – rispecchiano la precarietà dell'equilibrio del microcosmo rurale indagato da Tarr: un universo obsoleto, che si scontra con le esigenze della modernità e del mutamento, pretese dall'avvento della società dei consumi. Ma questa è una interpretazione sociologica: solo una delle deduzioni che possono derivare dalla visione del film, quando lo si collega al contrasto feroce tra i negozi luccicanti del Belváros di Budapest e il profilo monotono delle casupole immerse nel gelo novembrino, descritte dal regista. Il quale non solo non fa sociologia (caso mai psicodinamica delle masse), ma invita a considerare la sua opera come una luce gettata sulla realtà di un'Europa vicina, troppo vicina per non volerla vedere.
Tarr non nasconde gli apporti dei suoi "ispiratori": la moglie Agnes Hranitzky, prima tra tutti, che da 22 anni si occupa del montaggio dei suoi film (visto l'uso consistente del piano-sequenza non sembrerebbe un lavoro particolarmente faticoso; ma l'intervento della moglie si sviluppa soprattutto durante le riprese, nel corso delle quali la Hranitsky predetermina il "cutting" controllando il ritmo con cui le scene si susseguono); poi lo scrittore Krasznahorkai stesso, amico di famiglia, che ha partecipato attivamente all'adattamento del proprio romanzo modificandolo nelle situazioni meno adeguate al linguaggio cinematografico, e i cui lavori sono stati la base per altri due film di Tarr (Kárhozat, 1988; Sátantángo, 1994); infine, i suoi registi di riferimento: Ozu, Bresson, Fassbinder.
Lontano come la luna dagli standard ai quali il predominio del marketing ci obbliga, nella forma della comunicazione come nella sostanza del comunicato: un cinema teso, sudato, che promette lacrime e sangue e restituisce gioia per il senso della vista.



 

Titolo originale: Werckmeister Harmòniàk


Regia: Béla Tarr
Sceneggiatura: Béla Tarr, Laszlo Krasznahorkai
Fotografia: Medvigy Gabor, Robert Tregenza, Novak Emil, Jorg Widmer, Patrick de Ranter, Miklós Gurban
Montaggio: Agnes Hranitzky
Musica: Mihaly Vig
Suono: György Kovacs
Costumi: Janos Beckl
Interpreti: Lars Rudolph (Valuska), Peter Fitz (György Eszter), Hanna Schygulla (Tünde Eszter)
Produzione: Miklós Szita per Goess Film (Ungheria), Von Vietinghoff Film (Germania), 13 Production (Francia)
Distribuzione: Budapest Film
Durata: 2h 25'
Formato: 35mm, B/N


 

 

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