I am Martin Parr, di Lee Shulman
Solerte documentario su uno dei più importanti fotografi inglesi. Adempie al suo compito, ma viene lasciato troppo poco spazio all’inquadramento teorico della sua vastissima produzione.

La prima sequenza con cui si apre I am Martin Parr è carica dello stesso contrasto kitsch ma genuino che anima le più famose fotografie del protagonista di questo documentario diretto dal collega Lee Shulman. In un lungomare screziato dal perenne banco cirroso britannico, un uomo anziano cammina poggiandosi sul carrello deambulatore. Si ferma un attimo, alza la macchina fotografica professionale che tiene al collo per scattare un’istantanea e poi riprende garrulo il suo percorso, accompagnato adesso dalle note extradiegetiche di White Riot dei The Clash. Ecco che sull’anarcoide tappeto sonoro della band adesso si srotolano su schermo, attraverso un montaggio frenetico, alcune delle più belle e acide fotografie dell’anagraficamente senile ma intellettualmente giovanissimo Martin Parr. Sta in questa sequenza iniziale lo spunto più interessante dei 67 minuti di un lavoro che per il resto, purtroppo, si fa frenare dalle solite colonne d’Ercole del documentario biografico. Forse obbligato dalla breve durata, Shulman si avvicina infatti a Parr secondo le rigide gabbie del racconto personale: interviste a colleghi, galleristi e artisti che omaggiano la sua produzione (Grayson Perry e il musicista Mark Bedford), riprese del lavoro compiuto dalla fondazione che ha creato e che dà fiducia a giovani professionisti dell’immagine, pedinamento dell’anziano fotografo che illustra verbalmente e fisicamente la sua poetica.
Se dal punto di vista tecnico I am Martin Parr adempie pienamente al suo compito – la giusta enfasi al lavoro in bianco e nero, ravvisabile ad esempio nella splendida serie “Abandoned Morris Minors of the West of Ireland” che mostrava la crisi industriale irlandese andando alla ricerca delle auto abbandonate nelle campagne della regione – poco spazio viene invece concesso all’inquadramento teorico della sua vastissima produzione. La critica alla società dei consumi delle sue foto più sgargianti e famose viene citata quasi en passant, come se bastasse soltanto l’indubbia forza icastica delle sue istantanee a prendersi gioco degli effetti più ridicoli della sovraespansione capitalistica. Concetti come overtourism e junk-food vengono sì taggati nei discorsi degli intervistati ma senza espansioni che possano magari rivelarne possibile influenze ed eredità nel discorso culturale dell’oggi. L’unica fotografia sociale di questa ora stiracchiata resta allora quindi quella di Martin Parr. Ma a quel punto bastava recarsi ad una mostra personale o acquistare un suo libro.
Titolo originale: id.
Regia: Lee Shulman
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 70′
Origine: UK, 2024