I Carry You With Me, di Heidi Ewing

La documentarista al suo primo film di finzione mischia generi e formati, footage e ricostruzione, presente e passato, per raccontare una storia vera tra Messico e Stati Uniti. #RomaFF15

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E’ il 1994. A Puebla, Messico, Ivàn è un aspirante cuoco che fa un lavoro sottopagato ed umiliante, vive in un bugigattolo e ha un figlio, Ricky, frutto di una relazione finita. Una sera conosce Gerardo in un locale gay. E’ un colpo di fulmine. Il loro è un amore passionale e totalizzante, ma il Messico non è terra accogliente per gli omosessuali: il padre di Gerardo non ha mai accettato l’omosessualità del figlio, Ivàn vive la propria all’oscuro di tutti. Ma una sera Paola, ex compagna di Ivàn, li scopre insieme, impedendogli di rivedere il figlio. Frustrato e insoddisfatto, Ivàn decide di rischiare il tutto per tutto attraversando illegalmente il confine tra Messico e Stati Uniti, terra di promesse ed opportunità, per realizzare il suo sogno di diventare chef e dare al figlio un futuro migliore. Ma questo comporta un sacrificio immane: lasciare dietro di sé l’amore della sua vita e il piccolo Ricky.
La prima parte di I Carry You With Me si muove continuamente tra presente e passato, in un fluttuare di immagini che, accompagnate dal voice over, si confondono tra il ricordo e il sogno-incubo. Ivàn e Gerardo bambini, il desiderio di essere se stessi, la reazione punitiva del padre di Gerardo e quella omertosa del padre di Ivàn. Una vita passata ad essere derisi e aggrediti. “Quelli come ti li ammazzano” dice il padre di Gerardo al figlio di otto anni terrorizzato, dopo averlo picchiato con la cinghia perché in paese lo chiamano checca. Una vita di clandestinità, menzogna ed oppressione, resa registicamente dai primi piani serrati e gli ambienti angusti e una fotografia fredda che distrugge ogni immagine da cartolina che abbiamo del Messico. Il passato torna a riconfigurare il presente in una coalescenza di spazi e tempi che non conosce un ordine.

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Ispirato alla storia di due cari amici della regista Heidi Ewing, il film si apre col primo piano di un uomo che scopriremo solo alla fine essere il vero Ivàn, quando la revocazione finzionale lascia spazio ad un presente documentaristico che mostra l’oggi della coppia: Ivàn è uno chef affermato a New York, dove Gerardo l’ha raggiunto dopo più di un anno di lontananza. Ma il prezzo che hanno dovuto pagare per poter vivere liberamente è altissimo: Ivàn non vede suo figlio da vent’anni e a causa delle politiche restrittive sull’immigrazione attuate dal governo Trump, Ricky non può raggiungere il padre in America. Rientrare in Messico per Ivàn significa abbandonare un’attività di cui è diventato faticosamente proprietario, con la certezza di non poter più fare ritorno negli USA perché arrivato clandestinamente. Ma Ivàn non ha dubbi: è il momento di recuperare quel legame con il figlio, prima che i ricordi si smarriscano del tutto. Anche a costo di separarsi nuovamente da Gerardo.
Una storia d’amore che sul finire si trasforma in una sorta di Tony Driver all’inverso, che mischia generi e formati, con l’incursione dello schermo verticale del cellulare. Ed è chiaro che la regista, nata come documentarista (I Carry You With Me è il suo primo lungometraggio di finzione) si senta più a suo agio col footage rispetto alla fiction. C’è un evidente scollamento tra la prima parte e la seconda, che si trasforma quasi in cinema-verità, dove nulla è scritto e il futuro è l’unico fuori campo possibile. Ciò che tiene uniti i pezzi, nel corso del film come nella realtà, è l’amore tra Ivàn e Gerardo e la certezza che ovunque vada l’uno, l’altro lo seguirà.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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