I colori dell’anima – The Colors Within, di Naoko Yamada

Seppur sia privo di quella tensione palpabile su cui Yamada fonda il tono elegiaco del suo cinema, riesce lo stesso ad articolare una potente e mai retorica ode al potere connettivo della musica

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OPEN DAY FILMMAKING & POSTPRODUZIONE: 23 maggio

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BORSE DI STUDIO per LAUREATI DAMS e Università similari

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SPECIALIZZAZIONI: la Biennale Professionale della Scuola Sentieri selvaggi

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Per i personaggi di Naoko Yamada, la comunicazione è filtrata sempre da sistemi non-verbali. In tutti i testi a cui la talentuosa regista nipponica ha dato vita, sia ai tempi delle serie televisive prodotte in forza alla Kyoto Animation sia nei recenti progetti curati per lo studio Science SARU, il mondo interiore dei protagonisti si rivela costantemente attraverso la prossemica o mediante i linguaggi musicali. È la gestualità delle giovani adolescenti del suo cinema a fungere da caleidoscopio delle turbe o del leggero malessere in cui rischiano di inabissarsi, al punto che solo i loro atteggiamenti corporei arrivano a tradire le emozioni e le pulsioni che tentano – spesso invano – di nascondere a sé stesse. Un portato emozionale che viene verbalizzato solamente nell’istante in cui i corpi di due (o più) personaggi entrano in contatto tra loro, talvolta per mezzo di quella complicità emotiva che solo le invisibili note generate da uno strumento musicale riescono a rendere materica. Due fattori che contribuiscono a definire – guarda caso – tutte le istanze (narrative e comunicative) che attraverseranno le immagini animate di questo I colori dell’anima – The Colors Within.

Sulla scia di K-ON! o di Liz e l’uccellino azzurro, il nuovo lungometraggio anime di Naoko Yamada ragiona su quei linguaggi non-verbali descritti in partenza per articolare, anche in questo caso, un potente inno al potere connettivo della musica, e alle sue valenze altamente simboliche. Totsuko, alla pari dei soliti protagonisti concepiti dalla regista nipponica, sembra a prima impatto rinchiusa in sé stessa, quasi fosse destinata a muoversi in un universo fatto di parole inespresse e di sentimenti sopiti da cui appare impossibile astrarsi. La sua capacità di vedere i colori dell’anima dei compagni, testimoni del grado di purezza emotiva dei singoli personaggi, rappresenta da tale prospettiva il manifesto della sua “diversità”, nonché della difficoltà della ragazza ad approcciarsi – e poi ad aprirsi – al prossimo. Ma la conoscenza improvvisa di Kimi, la cui anima dà prova della sfumatura cromatica “più affascinante” che Totsuko abbia mai visto, la spinge ad entrare in contatto con la coetanea, con cui formerà una band con l’obiettivo di esibirsi al festival culturale della scuola ecclesiastica a cui sono iscritte, non appena faranno la conoscenza di un ragazzo “omologo” nel suo malessere esistenziale qual è Rui.

Già dall’incipit, appare evidente quanto I colori dell’anima urli la sua appartenenza ai mondi narrativi concepiti, da quasi due decadi, da Naoko Yamada. Ed è proprio questo senso di familiarità, questa capacità indubbiamente naturale della regista di muoversi in territori così affini alla sua poetica, che consente al film di materializzare, con grande precisione, la necessità di questo trittico di anime solitarie di obliterare le barriere (fisiche ed esistenziali) dietro cui hanno a lungo nascosto quella sensazione di sfasamento spesso percepita dai giovani studenti nipponici, destinati qui a connettersi reciprocamente grazie all’idillio donatogli dal linguaggio estatico della musica.

Ma, come noto, quello di Yamada è un cinema elegiaco: e a differenza delle classiche narrazioni giovanili della cinematografia nipponica, il superamento di tale stato di inquietudine non passa attraverso un atto violento (si pensi a titolo d’esempio a Blue Spring) o, come nel recente Happyend, mediante un gesto di ribellione. Per nulla. Tutto si risolve nella complicità con l’altro – manifestata dalla prossimità dei corpi – e nell’uso, in funzione metaforica, di uno strumento musicale: capace di colmare il golfo emotivo che separa tra loro i protagonisti, permettendo così ai singoli personaggi di emergere dal microcosmo in cui si sono infossati, e di trovare finalmente sé stessi. Elementi che ritornano in quest’ultimo lungometraggio di Naoko Yamada, anche se qui appaiono meno radicali rispetto alle soluzioni adottate in precedenza dalla regista. Proprio perché, a differenza dei suoi precedenti anime a tema musicale, ne I colori dell’anima sembra mancare quell’enfasi posta sull’interazione fisica tra gli individui, con cui la cineasta era solita donare una tensione palpabile ai terremoti emozionali (nonché alle pulsioni) che attraversano, in profondità, l’animo delle giovani protagoniste del suo cinema.

Titolo originale: Kimi no Iro
Regia: Naoko Yamada
Voci: Sayu Suzukawa, Akari Takaishi, Taisei Kido, Yasuko, Aoi Yuki, Minako Kotobuki, Keiko Toda, Yui Aragaki
Distribuzione: Anime Factory
Durata: 101′
Origine: Giappone, 2024

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3 (1 voto)

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