I diavoli alati, di Nicholas Ray
È il film meno riconoscibile del regista, inserito in un cinema di propaganda che mostra già piccole tracce di quella riflessione sulla guerra che verrà di lì a breve. Stanotte, ore 5:00, Rai Movie
Durante la Seconda guerra mondiale al maggiore Kirby (John Wayne) viene affidato il comando di uno squadrone di piloti dei Marines. Il suo secondo, il capitano Griffin (Robert Ryan), non è d’accordo con i suoi metodi severi. Nel frattempo, le rappresaglie del Giappone si fanno sempre più intense.
Se guardassimo I diavoli alati e Neve rossa senza sapere il nome del regista, sarebbe forse impossibile sostenere che dietro ci sia lo stesso sguardo. Usciti entrambi nel 1951, si muovono in due direzioni opposte: l’uno verso un discorso codificato, l’altro parte dal genere per poi allontanarsene. Ray, al pari di altri grandi autori di cinema, sa adattare la sua presenza a opere non personali – allo stesso modo Spartacus è il film meno riconoscibile di Kubrick laddove la narrazione segue il racconto storico e mitico dell’eroe.
I diavoli alati deve molto, quasi tutto, a Howard Hughes, magnate dell’aviazione, produttore e occasionalmente regista, che finanziò il progetto. A capo della RKO dal 1948, non si distinse per una gestione proficua della casa, benché in quegli anni uscirono titoli importanti: il classico della fantascienza La cosa da un altro mondo; due film di Fritz Lang; noir come La jena di Oakland con Ryan e Ida Lupino, il modernissimo La belva dell’autostrada diretto proprio da Lupino e il già ricordato Neve rossa; Rashômon, che venne distribuito negli Stati Uniti quasi un anno e mezzo dopo la sua uscita.
La guerra era una memoria ancora troppo vivida nell’immaginario di ciascuno e una personalità così dentro a quel mondo come Hughes (nel 1930 aveva diretto un altro film sull’aviazione, Gli angeli dell’inferno) non poteva esimersi dal dare una rappresentazione in positivo del coraggio e del sacrificio di questi giovani piloti di fronte a un nemico che sembra invincibile. I diavoli alati fa parte di quel cinema più o meno di propaganda che aveva avuto un po’ ovunque esiti anche molto felici da un punto di vista espressivo – per restare tra i cieli si possono citare Victory Through Air Power, prodotto da Disney in tecnica mista, con sequenze animate che non risparmiano gli orrori bellici; o Scala al paradiso dei visionari Powell-Pressburger.
Ray mette in scena un dramma costruito sul fuoco dei due protagonisti: il bonario Ryan, che raccoglie la stima e l’affetto della squadra; il rigido e inflessibile Wayne il cui personaggio è in parte ricalcato sul modello del sergente Stryker di Iwo Jima, deserto di fuoco. L’asciuttezza e il realismo di Ray – il pathos misurato degli attacchi aerei – si caricano delle immagini tratte da riprese d’archivio che sono ben integrate con le scene di finzione. L’aspetto più autentico è tuttavia l’eroismo umanizzato con cui i personaggi esprimono le loro debolezze – la vigliaccheria, la paura della morte o di non rivedere più i propri familiari; quando alcuni di loro cadono sul campo di battaglia, gli altri si interrogano sul senso della loro missione – “vincere quale guerra? è la domanda che non trova risposta. In questi scarti da un classicismo di maniera si possono individuare ne I diavoli alati piccole tracce di ciò che è già in essere e che di lì a brevissimo sarà ancora più attuale, cioè un cinema di “genere” riflessivo e per nulla adrenalinico, che porta in primo piano la condizione umana e le ipocrisie di un potere che dall’alto delle sue gerarchie colpevolizza e punisce il soldato innocente (Fear and Desire, Orizzonti di gloria, Per il re e per la patria).
Titolo originale: Flying Leathernecks
Regia: Nicholas Ray
Interpreti: John Wayne, Robert Ryan, Don Taylor, Janis Carter, Barry Kelley
Durata: 102′
Origine: USA, 1951
Genere: guerra
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani