I figli della notte, di Andrea De Sica

Tra genere e alta autorialità, Andrea De Sica orchestra un film che non lascia molto spazio di intervento per uno spettatore che deve prendere o lasciare un pacchetto troppo “chiuso”.

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Sulle soglie di una spettrale villa alpina immersa nel bosco, linea di confine verso il mondo altro, un ragazzo dal viso angelico si separa dalla madre. Si apre così il film d’esordio del giovane Andrea De Sica (nipote di Vittorio De Sica), inquadrando il costosissimo ed esclusivo collegio che educherà il protagonista Giulio, lo formerà culturalmente, lo farà diventare uomo e poi manager. Tra simbologie freudiane e immaginario favolistico (arcaico) il ragazzo si trova catapultato in una realtà parallela riempita di giorno da lezioni sull’alta finanza con ammonimenti alla responsabilità della futura classe dirigente, e di notte da violenti riti iniziatici con perturbanti attraversamenti del bosco. Il collegio, però, diventa anche lo spazio che catalizza una miriade di umori di genere (dal teen movie al thriller erotico, dall’horror gotico a tutti i recenti hunger games in salsa reality) impastandosi con le “alte” ed evidentissime passioni i figli della notte vincenzo creacinefile del regista (dai corridoi di Kubrick ai collegi di Bellocchio, dalle favole nere di Lynch alle ghost story di Steven King). Di giorno è un Overlook Hotel popolato da un “corpo insegnante” che educa i figli della notte italiana con disumano ed anestetizzato distacco; mentre di notte si spiana la strada a un One Eyed Jack lynchano dove la bellissima prostituta Elena turberà i sogni dei giovani rampolli. Edoardo è il ragazzo ribelle, Giulio è l’allievo intransigente, diventeranno fatalmente amici: compagni di banco di giorno e compagni di trasgressione di notte. Ma c’è veramente una regola e una sua trasgressione? O è tutto parte di un dispositivo di controllo che osserva i suoi “detenuti” come cavie nella notte? Le cavie che diverranno poi la classe dirigente del futuro…?

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i figli della notte fabrizio rongioneInsomma la riflessione sociale e antropologica che il film ci fornisce è sin troppo evidente e letterale, con diverse “forzature” narrative che incanalano ogni interpretazione su binari prestabiliti. E allora dovremmo affidarci alle immagini per cercare la vera notte del non dicibile, per poter sabotare quel meccanismo, ma anche lì alla fine tutto è detto, tanto è visto, c’è poca notte in quelle notti. Sia chiaro: Andrea De Sica costruisce con certosina pazienza le sue inquadrature, gira bene e ha l’audacia non così scontata di tentare un percorso che unisca il genere all’alta autorialità come il cinema italiano non sperimentava da tempo (tolti forse due autori come Saverio Costanzo e Paolo Franchi). Insomma c’è del buono nel suo film, perché ha l’ambizione di creare un’esperienza sensoriale e percettiva prima che narrativa. Ma questa urgenza indubbiamente sincera non basta, perché i modelli di De Sica (in primis proprio Bellocchio e Lynch) aprono i loro film ad abissali e insondabili verità, giocano sempre sui significanti delle loro immagini e sfuggono straordinariamente ai blindati significati. Mentre I figli della notte non ha ancora il coraggio e/o la maturità per immaginare il cinema a cui vorrebbe aspirare. Insomma queste geometriche traiettorie non lasciano molto spazio di intervento per uno spettatore che deve prendere o lasciare un pacchetto talmente ben confezionato da rimanere sempre e comunque “chiuso”. Distante.

Regia: Andrea De Sica

Interpreti: Vincenzo Crea, Fabrizio Rongione, Ludovico Succio, Yuliia Sobo, Luigi Bignone, Dario Cantarelli

Distribuzione: 01 Distribution

Durata: 85′

Origine: Italia/Belgio 2016

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