Tempo di vivere, di Douglas Sirk
Douglas Sirk ha percorso la strada stretta fra l'assurdo e il realistico senza mai smarrire eleganza e stile, come Lubitsch; ha portato il melodramma ai massimi livelli senza mai smarrire l'essenza del cinema, come Leo McCarey. Su Rete 4, venerdì alle 16.00, uno dei suoi capolavori del periodo americano.
Tratto dal romanzo di Erich Maria Remarque, Tempo di Vivere è la storia di un giovane soldato tedesco (John Gavin) che dal fronte russo ritorna al suo paese d’origine per una licenza di pochi giorni. I bombardamenti hanno distrutto la sua casa e i genitori sono scomparsi. Trova un’ex compagna di scuola (Liselotte Pulver) e tra i due nasce l’amore. Si sposano, ma la guerra presto li separerà. Lui deve tornare al fronte e si trova nel bel mezzo della ritirata tedesca. Come missione gli affidano la custodia di tre soldati nemici che prova a far scappare. Intanto con una lettera giunta al fronte, la moglie annuncia di aspettare un bambino. Lontano da ogni pura e semplice condanna retorica della guerra e dei nazisti, Sirk ribalta il punto di vista: senza la guerra questo amore non sarebbe mai nato. Ma forse più che ribaltare, espande gli orizzonti cupi e desolanti di troppo cinema intellettualmente pretenzioso e poco coraggioso. Anche nei suoi film americani, dove l’ottimismo a stelle e strisce era imposto, si sente un’oscurità sotterranea una venatura di pessimismo che trasforma l’happy end in “an unhappy happy end”.
L’essenza del cinema sembra mostrarsi nel melodramma: Sirk mette in scena l’imperfezione della felicità con gli scarti (tra le macerie) immaginari dell’amore. Simula l’ordine della vita, la zona franca della realtà e delle ottusità storiche, il confine tra i desideri e le nostalgie, i ritrovamenti e le perdite definitive. Sguardo mai invischiato nel sentimentalismo ma assolutamente descrittivo: rari sono i primi piani e persino nei campo/controcampi, il più delle volte, l’interlocutore non è tutto in quadro. Riprese esclusivamente oblique e in prevalenza dal basso e le luci sono le più innaturali possibili: si scorgono ombre dove non dovrebbero esserci. È lo “straneamento” che libera la mente dalle consuetudini, come quando specchiandoti riconosci te stesso per la prima volta con l’intensità di una totale comprensione e non di un’identificazione passiva. Quello che scorre sullo schermo (ri)trapassa e purifica le nostre teste.
TEMPO DI VIVERE (A Time to Love and a Time to Die)
Regia di Douglas Sirk
Con John Gavin, Liselotte Pulver, Keenan Wynn, Jock Mahoney
USA, 1958, 139′
Venerdì 18 febbraio, Rete 4, ore 16.00