"I luoghi dove abbiamo girato sono i luoghi di Pasolini, ma sono quegli stessi luoghi ora abitati da molti stranieri." Incontro con Francesco Munzi

Con "Saimir", l'opera prima del regista romano, si affronta il tema dell'immigrazione nel nostro Paese: la quotidianità vissuta da un giovane albanese tra traffici illeciti, difficoltà di integrazione e rapporto tra un padre ed il figlio, quel figlio che cercherà in tutti i modi di spezzare il meccanismo di vita difficile a cui è costretto.

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Rivelazione all'ultima Mostra di Venezia e riconosciuto come Film di Interesse Culturale dal Ministero per i Beni Culturali, "Saimir" è stato girato in circa nove settimane tra Roma e il litorale laziale. Il film parla dei problemi giornalieri degli stranieri in Italia: il livello del racconto ed il linguaggio sono in perfetto equilibrio e si racconta di extracomunitari come persone comuni.

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E' questa considerazione che rende "Saimir" un film di qualità?


 


Francesco Munzi: Questa qualità si è guadagnata nel corso delle varie fasi della stesura della sceneggiatura. Il vero lavoro, ciò che richiedeva un grosso impegno, era il dovere di dare una realtà ai personaggi. In attesa dei finanziamenti per il mio film, per un anno intero mi sono dedicato alla realizzazione di un ritratto di famiglia rom. Il mio obiettivo era raccontare il rapporto tra padre e figlio, tra nuove e vecchie generazioni. L'anima del film è il personaggio di Saimir. Ho cercato di entrarci guardando proprio dagli occhi dello stesso protagonista, avendo fiducia nel fatto che raccontavo di un ragazzo al di là dell'etnia. Finita la sceneggiature mi sono accorto di alcune lievi somiglianze con film di Dardenne che mi hanno lasciato perplesso, ma poi mi sono affidato alla genuinità della mia storia. E' un film fatto con pochi fondi e con attori non popolari, mi auguro che lo vedano in molti.


 


E' chiara la miscela tra personaggi recitati da attori professionisti e non:


 


Francesco Munzi: Mi è piaciuta molto l'idea di poter miscelare: sono del parere che gli attori professionisti ed i dilettanti possano mescolarsi benissimo all'interno dello stesso film. Xhevdet Feri, nel film il padre di Saimir, è uno degli attori più conosciuti in Albania, mentre Mishel Manoku, Saimir, è un ragazzo di 17 anni che non aveva mai recitato prima. E' comunque difficile trovare un giovanissimo che sia già un attore professionista. A parte qualche rara situazione, bisogna considerare anche che alle scuole di cinema per attori iniziano ad iscriversi dai 18 anni in poi.

Come è avvenuto l'incontro tra il regista e l'attore protagonista:


 


Francesco Munzi: Mishel è stato uno dei pochi ragazzi che quando gli ho proposto il film non si è entusiasmato anzi si è mostrato da subito disinteressato. Siamo andati in Albania apposta per fare il provino a lui e non si è presentato. Lo abbiamo cercato a casa ma la madre ci diceva che era impossibile trovarlo. All'ultimo momento, proprio quando avevo deciso di non insistere più e ripartire, mi ha cercato per dirmi che accettava la proposta del film.Quindi il primo scoglio da dover superare era dover acquisire una fiducia reciproca. Gli diedi apposta appuntamento il giorno dopo alle 7 del mattino, io mi sono presentato là alle 11, ma Mishel c'era e mi ha atteso pur sotto la pioggia. Abbandonata la diffidenza iniziale si è lasciato andare ed io ho potuto pensare a lui come il protagonista del mio film.


 


Mishel Manoku: Sono albanese puro e questa è infatti la mia prima esperienza cinematografica. Ne sono contentissimo soprattutto per aver avuto modo di parlare del mio popolo. La storia mi è piaciuta subito e mi è entrata dentro immediatamente.E' una storia del mio Paese, triste, drammatica, bisogna viverla per comprenderla davvero.


 


I luoghi in cui è stato girato sono fondamentali per la storia e si rifanno al cinema del sottoproletariato, al cinema di Pasolini:


 


Francesco Munzi: Sulla scenografia e fotografia ho avuto da subito un'idea molto chiara. Abbiamo discusso con i produttori solo per non girare d'estate. Siamo stati molto attenti sulle scelte dei luoghi e sulla luce. In questo ci siamo ritrovati molto uniti. Ho fatto un film cercando di soddisfare e stupire me stesso. E' il percorso che facevo sin dai cortometraggi: è l'istinto a spingerti nella scelta della storia, degli attori, degli ambienti di ripresa e persino dei tuoi collaboratori. E' vero i luoghi dove abbiamo girato sono i luoghi di Pasolini, ma sono quegli stessi luoghi ora abitati da molti stranieri.


 


Ci si aspetta qualche reazione al film?


 


Francesco Munzi: Spero innanzitutto non nascano offese e che nessuno pensi che con il film si vogliano alimentare dei pregiudizi. Saimir è un personaggio solare, positivo. Il film per ora è piaciuto anche all'estero. Qualcuno ha trovato discutibile il finale, con il gesto di Saimir risolutore, ma il mondo è pieno di tanti Saimir.


 

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