I May Destroy You, di Michaela Coel

Secondo molti è la serie dell’anno. Il nuovo lavoro di Michaela Coel è la storia di un corpo violato che prende coscienza della sua esistenza. Tra autobiografia, dramma, comedy e crime

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È tra le strade di Ostia, estrema periferia sud di Roma che ha inizio I May Destroy You, la nuova serie HBO scritta, diretta e interpretata dalla talentuosa Michaela Coel. Una scelta di set curiosa che prende le distanze dalle atmosfere malavitose suburriane. La spiaggia con gli ombrelloni colorati, i bar, le discoteche ed i parchetti anonimi dove giocare a basket ricordano più gli scenari estivi teen di alcune produzioni Netflix, un paradiso per i giovani. Ma non è così. A guardar bene quei parchetti e quelle strade sono i luoghi abitati dai poveri cristi caligariani, i luoghi infestati dal fantasma pasoliniano. Storie di corpi tragici vivono questa periferia.

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Ed eccoci qui: I May Destroy You è la storia di un corpo tragico, un corpo violato, quello di Arabella Essiedu, scrittrice londinese di origini ghanesi che nel pieno d’una stasi creativa decide di recarsi in vacanza sul litorale romano in cerca d’ispirazione. Dopo il suo esordio di successo che l’ha resa un’influencer e star del web è infatti in crisi. La troviamo nel taxi, alla volta dell’aeroporto. Deve affrettarsi a tornare a Londra per consegnare la striminzita bozza agli editori che la pressano, abbandonando l’amore estivo e tornando alla frenetica quotidianità della sua città. Quella sera, per festeggiare il rientro e dimenticare ansia e stress decide di uscire a bere con gli amici. Tutto sembra andar bene, ma al mattino seguente Arabella si ritrova con i ricordi dai contorni annebbiati, un taglio in fronte ed il telefono rotto. Com’era avvenuto in The Nigh Of è proprio da qui, dalla perdita di memoria, dall’assenza di risposte, che si dipana un’indagine – qui personale, tramite l’anamnesi – che dura per l’intera stagione e che conferisce a May I Destroy You un interessante statuto di serie crime-poliziesca. Un cambio di registro radicale per una serie in grado di giocare abilmente con i toni tanto quanto con i colori, e capace di tener insieme grazie al continuo e ondivago andirivieni di flashback, un racconto corale e ricco in modo mai banale. Se in molti, a partire dal New York Times, l’hanno inserita tra le migliori serie dell’anno, non c’è dunque da stupirsi.

È chiaro sin da subito però, che nonostante si tratti d’uno scenario ricco di storie e ricordi che s’intrecciano è appunto il corpo, o meglio i corpi, ad esser al centro della narrazione. Dicevamo appunto corpi tragici di eco pasoliniana, perché spesso violati apertamente o sottilmente, come spesso accade nell’universo biopolitico del controllo. Oltre a questo, però, la grandezza di Michaela Coel, dimostrata già in Chewing Gum (disponibile su Netflix) anticipando il genio di Phoebe Waller-Bridge, sta, come ha messo in evidenza Ilaria Feole, nell’esser riuscita a «dipanare il malinteso mistero che circonda il corpo della donna, il suo funzionamento, il suo desiderio, disinnescando l’aura di affascinante indecifrabilità all’origine di rappresentazioni limitanti», mostrandolo, senza edulcorarlo, con tutti i suoi fluidi e le sue secrezioni, le sue tragicità ma anche la sua goffa comicità. Partendo da un trauma realmente vissuto sulla propria pelle, Michaela Coel porta avanti grazie alla scrittura una catarsi personale tramutata in modo eccezionale in insegnamento collettivo: una lezione essenziale in fatto di consenso e di scelta nell’epoca in cui il revenge porn e l’hating di incel e machi da tastiera sono tristemente all’ordine del giorno: «Io decido sul mio corpo» e «No is no», sono gli slogan alla base di questo lavoro che si dimostra assai lontano dal semplice pink washing oggi tanto in voga in molte produzioni audiovisive. I May Destroy You dichiara esplicitamente di aver metabolizzato ed aver fatto proprie le istanze del femminismo intersezionale di nuova generazione, abbracciando la militanza accogliente e collettiva.

Che sia allora da esempio e che in molti, come Arabella e i suoi amici, imparino a prendere coscienza dei propri corpi e di quale sia il proprio posto nel mondo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3 (3 voti)
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