I Mitchell contro le macchine, di Michael Rianda e Jeff Rowe
Su Netflix disponibile questo nuovo capitolo della Sony Pictures Animation, che porta sullo schermo una profonda riflessione sui disagi famigliari nell’era digitale
Il nuovo film d’animazione della Sony Pictures Animation, co prodotto da Phil Lord e Chris Miller (registi di Piovono Polpette, The Lego Movie e produttori di Spider-Man: Un Nuovo Universo) è scritto e diretto da Michael Rianda e Jeff Rowe, che portano sullo schermo un riflessione profonda sui disagi famigliari nell’era digitale, sullo sfondo distopico di un apocalisse hi tech.
I Mitchell contro le macchine oltre ad essere un’eccezionale opera di animazione è anche una dedica che Rianda regala alla sua famiglia, scrivendo una storia sull’amore, quello autentico, nascosto dietro alle incertezze, alle incomprensioni e alle debolezze umane: la vera forza motrice di una piccola rivoluzione individuale, che poi diventa collettiva.
La storia comincia con due scenari: da una parte segue le vicende quotidiane della famiglia strampalata dei Mitchell e dall’altra, la presentazione nella Silicon Valley del nuovo modello di intelligenza artificiale Pal dove il creatore, sullo stile eccentrico delle promozioni dei prodotti hi tech delle multinazionali contemporanee (o di Elon Musk) lancia letteralmente nella spazzatura l’assistente digitale integrato nel sistema operativo dello smartphone, per sostituirlo con un nuovo modello dotato di corpo robotico e abilità da tuttofare.
Nel frattempo i Mitchell devono affrontare la separazione dalla figlia maggiore Katie, che sta per trasferirsi in un’altra città per iniziare il percorso di studi nella nuova scuola di cinematografia, così Rick, il padre decide di aggiustare la vecchia station wagon per accompagnarla lui stesso insieme al resto della famiglia, nel tentativo di riallacciare il rapporto con la figlia e di affrontare un ultimo viaggio insieme prima che le cose cambino definitivamente.
Il viaggio on the road dei Mitchell si trasformerà in una vera e propria epopea contro un’imminente apocalisse robotica, durante la quale saranno tutti costretti a mostrare le proprie debolezze per riuscire a sopravvivere e scoprire i propri punti di forza.
Il cinema di Rowe e Rianda è fatto di citazioni pop, ma anche di musiche che scandiscono i ritmi dell’emotività come fossero le note di uno spartito – qui c’è una bellissima colonna sonora originale composta da Mark Mothersbaugh, frontman dei Devo – di rimandi a situazioni tipiche dei film di genere, che negli anni sono divenuti cult intramontabili e che tutt’ora contribuiscono alla realizzazione di una nuova visione artistica, ma sempre contaminata dal ricordo di vecchie rappresentazioni impresse nella memoria cinematografica e quindi anche in quella spettatoriale.
I Mitchell contro le macchine è innanzitutto un racconto di formazione individuale e poi collettiva, che può avvenire soltanto attraverso il confronto con gli altri, l’unico modo per riuscire a comprendere sé stessi nel profondo.
I Mitchell in realtà combattono contro le incomprensioni intergenerazionali contemporanee, che nell’era digitale spesso sono condizionate dall’utilizzo dei nuovi dispositivi tecnologici, dal divario percettivo tra i Millennials che sono cresciuti insieme ai social network e chi invece è nato prima ancora dell’esistenza del world wide web.
Da una parte c’è la riflessione sull’abuso del digitale, sull’utilizzo scorretto dei nuovi mezzi di comunicazione, da cui possono derivare persino dipendenze, disturbi neurotici e psicosi, come quelli dell’AI che minaccia di distruggere l’umanità per vendicarsi contro il suo creatore. Dall’altra c’è la riflessione sul rifiuto dell’apprendimento, sull’eccessiva demonizzazione nei confronti degli strumenti digitali, che in realtà deriva dalla non comprensione.
I Mitchell insegnano che per sopravvivere all’apocalisse hi tech non c’è bisogno di armi, la vittoria si ottiene recuperando qualcosa di estremamente necessario che non dev’essere mai dimenticato: l’unione, l’affetto e l’autenticità, che sia nei confronti di una figlia, di un animale o di un compagno. Trovare un equilibrio che sia in grado di mediare tra l’evoluzione delle condizioni sociali, i progressi tecnologici e gli affetti personali è l’unico modo possibile per debellare un’apocalisse digitale.
Lo sfondo distopico in realtà non è altro che un Macguffin il cui scopo è quello di risvegliare la sensibilità e le coscienze dei protagonisti, perché in fondo la morale di questa storia è la maturazione di un amore famigliare raggiungibile solo attraverso la collaborazione e il superamento delle difficoltà.
L’affronto all’apocalisse robotica allora diventa la soluzione per una nuova unione domestica fatta di confronti, fallimenti, scelte, che contribuiscono a sviluppare reciprocamente le abilità di ogni membro del gruppo, a spingerli oltre i loro limiti ad aprirsi e ad assumere prospettive sempre nuove per ritrovare il proprio equilibrio.
A questo punto il film diventa un’opera metanarrativa che ci parla attraverso l’animazione, capace di bilanciare perfettamente ciò che riguarda la sfera umana-sentimentale e quella della tecnologia-digitale: due facce della stessa medaglia che insieme possono compiere cose straordinarie.
I Mitchell contro le macchine dimostra ancora una volta che l’animazione è un potentissimo mezzo di comunicazione, un linguaggio capace di evolvere continuamente e di assumere sempre forme diverse, proprio come i protagonisti.
Il film si regge grazie a questa “legge” sull’equilibrio, secondo cui la sensibilità umana dev’essere in grado di influenzare l’utilizzo della tecnologia così come l’utilizzo della tecnologia dev’essere in grado di influenzare la sensibilità umana. Lo stesso fanno Rowe e Rianda, che traggono ispirazione da condizioni vissute e da persone reali.
In questo modo i membri di una famiglia reale diventano i protagonisti perfetti per un’opera animata fruibile a qualsiasi età, in cui l’espressività dei personaggi non si limita al character design, ma prende forma attraverso la computer grafica e il disegno digitale per poi espandersi grazie alla metanarrazione, la sua vera colonna portante.
Lo stile grafico e la caratterizzazione dei personaggi sono talmente curati nei dettagli da renderli tangibili come fossero reali e allo stesso tempo i protagonisti perfetti per un prodotto audiovisivo distribuito su una delle piattaforme streaming più popolari del momento (Netflix) lanciando un messaggio più che mai necessario alla sopravvivenza contemporanea: per nessuna ragione bisognerebbe scordarsi dei legami reali, quelli che appartengono al mondo dei corpi, dei sentimenti, dell’empatia e della comunicazione emotiva, quelli che ci rendono umani.
Titolo originale: The Mitchells vs the Machines
Regia: Michael Rianda, Jeff Rowe
Distribuzione: Netflix
Durata: 113′
Origine: USA, Canada, Francia, Hong Kong 2021