I morti rimangono con la bocca aperta, di Fabrizio Ferraro

Il regista torna a narrare gli “indesiderati” in un film sullo scarto tra linguaggio e pienezza della realtà. Il punto di vista lontano limita il film a puro ragionamento. Concorso

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Con I morti rimangono con la bocca aperta, presentato in concorso alla 17ª Festa del Cinema di Roma, Fabrizio Ferraro torna a raccontare gli “indesiderati” della storia. Questa volta sono quattro partigiani che marciano senza sosta tra le nevi degli Appennini. A un certo punto, scrutando l’orizzonte, notano un movimento sospetto tra i cespugli. Si tratta di una ragazza che, secondo il capo della brigata, è una spia, pronta a consegnarli appena abbasseranno la guardia. Il partigiano Pietra, invece, la difende, rivedendo in lei un vecchio amore. Intanto continuano a marciare. Mentre il gruppo attraversa da parte a parte boschi e inquadrature sferzate dalla neve, la voice over di Pietra sussurra frasi poetiche su come i morti rimangano con la bocca aperta e proprio allora, da lì, esca la parola definitiva.

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Eppure, c’è un qualcosa della realtà che la parola non riuscirà mai a cogliere. Il segno circumnaviga la pienezza di ciò che vuole rappresentare, condannata a non completare il giro, trovandosi nella stessa condizione dei partigiani. Per muoversi verso questa spaccatura, Ferraro sceglie di lavorare, con I morti rimangono con la bocca aperta, su tutto ciò che solitamente sono materiali di “scarto”: tempi morti, battute ripetute, falsi movimenti, inquadrature appannate o sfocate, che si aggiustano durante il loro corso con un piccolo zoom.

 

Il vero problema di I morti rimangono con la bocca aperta è che non vengono concessi sufficienti appigli per tentare l’arrampicata di questa sofisticata ricerca. Assumendo un punto di vista spesso distante spesso non si riesce a penetrare abbastanza nel mondo rappresentato e assorbire il lirismo come vorrebbe la messa in scena. Un discorso che si applica soprattutto ai primi minuti del film, quando si viene tenuti a una fredda distanza dai protagonisti, impedendogli di subire la fatica di una camminata sulla neve ghiacciata e scivolosa. Quando lo sguardo di Ferraro si fa invece talmente vicino da entrare nel fiato dei suoi protagonisti, quando ci fa sentire l’agognata sigaretta che finalmente brucia, quando tendiamo l’orecchio cercando di sentire dei latrati distanti, ecco che il film si fa materico, tangibile, tattilmente emotivo. Momenti come questi, però, sono pochi e I morti rimangono con la bocca aperta cede, arrivando a essere un film che nel denunciare i limiti della mente si dimentica di recuperare il corpo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
2.83 (6 voti)
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