I Primitivi, di Nick Park

Il nuovo film del regista di Galline in Fuga esplora il passaggio dall’età della Pietra a quella del Bronzo, in una titanica lotta tra civiltà. Con le voci di Riccardo Scamarcio e Paola Cortellesi

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Dag e la sua tribù, espressione dell’Età della Pietra vivono in armonia con la natura incontaminata fino a quando la loro tranquillità viene turbata dall’arrivo delle potenti truppe dell’Età del Bronzo che per la sete di dominio li costringono ad abbandonare le case del villaggio e ripiegare verso luoghi inospitali. Per riconquistare il territorio sfidano in una partita di calcio la squadra degli avversari, la più titolata del mondo e ritenuta unanimamente imbattibile.

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L’emarginazione dei primitivi verso spazi inaccoglienti dietro la figurazione del superamento di una situazione assodata ed ormai matura per essere bypassata, approdando in un nuovo concetto di civiltà, è anche uno scivolamento dalla luce verso il buio, da uno stato florido e ricco ad un altro ostile, pieno di pericoli. Una spinta verso il disagio del ghetto, dell’esclusione per individui disallineati, disinteressati al fulgido avanzare del progresso, si porta in scia l’eliminazione del bambino insieme all’acqua sporca. Un processo inarrestabile impegnato ad elencare gli aspetti positivi, indubbiamente presenti, associato spesso con un’egoista ed arrogante autoesaltazione che dimentica o mortifica il legame legittimo del pensiero differito.

Inquinamento, distruzione impietosa dell’ambiente, per prelevare materiale adoperato per agevolare e facilitare delle esistenze, uniti al disinteresse per ripercussioni enormi di queste decisioni drastiche e poco lungimiranti, fanno da corollario ad un’impostazione sempre più orientata sul profitto che non al bene generale da tutelare. E se il tema della distruzione dell’habitat naturale è solo accennato, una decisione che permette di valutarne tutta l’incoscienza, nei metodi spicci degli invasori rientra tutto l’inventario problematico dirompente e contemporaneo. L’individualismo spinto, il sentire sempre il fiato sul collo, l’obsolescenza programmata dalla storia che al vecchio abbina il mediocre nella danza di allontanamento della morte, questo porsi fuori dal tempo che per alcuni, impegnati a rincorrere le sirene di un ultimo decisivo aggiornamento, resta un concetto inafferrabile, sono tutti spunti che dal film di Park affiorano con una leggerezza magistrale.

MV5BMTY3MDgwNzM5Ml5BMl5BanBnXkFtZTgwMjA3NTc0MzI@._V1_SX1500_CR0,0,1500,999_AL___1517594003_93.61.149.153Nel suo primo affondo da solista dopo le collaborazioni con Peter Lord per Galline in fuga, premiato con l’Oscar, uno dei quattro vinti in carriera, e con Steve Box per Wallace & Gromit – La Maledizione del coniglio mannaro, Nick Park si trascina alcune delle tematiche affrontate nelle opere precedenti, ad esempio quel filo spinato usato da recinzione per dei moderni lager quali sono le batterie di allevamento intensivo, che evocava le terribile esperienza dell’Olocausto viene traslato in un muro divisivo, dentro/fuori tra chi ha le carte in regola e permessi di soggiorno e chi la patria l’ha persa per sottrazione a causa di una guerra o ne viene scacciato, ma anche magari ideologicamente rifiutata e coltiva ancora l’idea che il possesso del pianeta sia appropriazione indebita. Sollevando in maniera sottile ed elegante quanti anacronistici muri divisivi sorgono ad erigere barriere protettive per mettersi al riparo da virus e batteri opportunisticamente sconosciuti ma usati per isolarsi dalla miseria, un movimento reazionario diffuso attualmente in ogni parte del globo di un ciclico nefasto riemergere dello spettro dei nazionalismi e dei fascismi dopo gli orribili danni del passato. La leggiadra contemplazione storica contemporanea si accresce di un nuovo parallelismo anche in relazione alla corruzione corrispondente ad un continuo drenaggio di denaro ed all’avidità che la necessità continua comporta. Come rientra nel medesimo campo di gioco la spettacolarizzazione degli eventi, in un’esaltazione ripetuta e sottolineata di importanza decisiva, con conseguenti aumento degli introiti, questa insita nella metafora del calcio ma applicabile pressoché ovunque, dove il talento viene misurato ormai sull’immagine proiettata e quantificata considerando il guscio esterno, sua diretta, anche se spesso non coincidente, espansione.

In questa lotta contro l’ingiustizia per evitare di essere tacciati di codardia e ricoperti di disonore, la rivincita arriva nel credere ai valori condivisi, nel ricorso alla forza del gruppo, attributi per ingaggiare questa titanica battaglia che oppone Davide a Golia. Resta invariato invece l’adozione da parte del regista di un’animazione frutto di un gigantesco lavoro artigianale, come suo solito, con l’utilizzo di 273 pupazzi e ben 3000 bocche intercambiabili per orientarne l’umore e l’espressione. La parte manuale è stata poi implementata attraverso il ricorso alla computer grafica, indispensabile per combaciare gli elementi tecnici e quelli fisici, e straordinaria soprattutto per ricreare le masse urlanti degli stadi, con un risultato veritiero e coinvolgente.

 

Titolo originale: Early Man
Regia: Nick Park
Interpreti (voci originali): Tom HiddlestonMaisie WilliamsEddie Redmayne
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 89′
Origine: Francia/Uk 2018

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