I ragazzi della 56ª strada, di Francis Ford Coppola
Il racconto di formazione per eccellenza, che veicola un messaggio di amore e compassione straziante e dolceamaro ma che non rinuncia mai al valore della poesia come chiave di liberazione. Su MUBI
Quando a soli diciotto anni, nel 1967, Susan Eloise Hilton ha pubblicato il romanzo I ragazzi della 56ª strada il successo è stato travolgente. Perché questo racconto di formazione è stato capace di cogliere tutti i chiaroscuri di una generazione di adolescenti lasciati ai margini della società, che nella violenza trovava l’unica via di fuga da una società proiettata troppo avanti rispetto i loro tempi di crescita e scoperta del mondo, specialmente nel contesto rurale – Tulsa – nel quale si svolge la vicenda di Ponyboy e Johnny. È stata proprio la stessa Hilton a mandare una lettera, con annesso il libro, a Francis Ford Coppola (reduce dall’insuccesso di Un sogno lungo un giorno) che immediatamente ha intuito il potenziale della storia. I ragazzi della 56° strada di Coppola resta ancora oggi, ad oltre quarant’anni dall’uscita in sala, un ritratto delicatissimo e dolceamaro della gioventù in conflitto con la società americana e che ragiona sulla crescita e (anche) sul mutamento dei corpi, con un occhio di riguardo e di sostegno alla classe degli outsider. Lo fa senza mai fuoriuscire dall’ottica cinematografica dentro la quale resta immerso durante tutta la visione, con rimandi perenni che ancorano lo spettatore più attento al periodo storico produttivo in atto: quello della New Hollywood. Difatti sono visibilissimi continui rimandi agli autori della generazione precedente che qui vengono ripresi ed espansi: ci sono Nicholas Ray di Gioventù bruciata e George Lucas di American Graffiti, sino a West Side Story di Wise e Robbins e Lo spaccone di Robert Rossen; ed è indubbio che su questa anticonvenzionale famiglia di adolescenti allo sbando (i Greasers) aleggia l’ombra del mito, scomparso prematuramente, di James Dean; il ribelle d’eccezione che guida le movenze di un cast pienamente consapevole del peso della Storia passata, presente e futura. Matt Dillon, Patrick Swayze, Tom Cruise sono senza dubbi di sorta i nomi di punta del cosiddetto brat pack – ovvero quella generazione di interpreti statunitensi che a partire dagli anni ottanta incarna lo spirito dei racconti di formazione con tematiche adolescenziali secondo dei precisi canoni estetici.
Nella progressione drammatica poi Coppola sembra agire attraversando le fasi del viaggio dell’eroe “inscatolando” i protagonisti in specifici compartimenti, e guidandoli nella crescita con un occhio sempre dolce e cosciente del suo peso specifico. Le suddette scatole (che volendo tracciare un paragone potremmo associare ad un ininterrotto susseguirsi di sale cinematografiche, che Ponyboy frequenta assiduamente) fungono da confine per segnalare le diverse fasi del conflitto tra i personaggi: se sin dai primi minuti si respira l’ostilità tra i Greesers e i Socials in strada – dove peraltro si consuma l’incidente che costringe Ponyboy e Johnny a fuggire dalla città – col progredire della visione l’inscatolamento dei sentimenti prosegue e accentua i conflitti interiori dei protagonisti. La chiesa sembra essere il punto di rottura col mondo esterno; lo stesso mondo dal quale Johnny e Ponyboy devono nascondersi a ogni costo. Ed è proprio qui che allora Coppola rivela uno dei suoi punti cardine, ossia l’amore per la lettura e la poesia, incarnato da una vecchia copia di Via col vento che i due fuggiaschi leggono intensissimamente e dalla culminante magica, storica, crepuscolare battuta: Stay golden Ponyboy.
I ragazzi della 56ª strada è una pellicola potenzialmente inesauribile data la sua capacità di scaturire, fuori dal tempo e dallo spazio, una critica feroce del classismo e del logorante consumismo che investe le società occidentali, quella statunitense in primis, guardando banalmente alla nomenclatura dei personaggi (Sodapop, Ponyboy, Dallas per citarne alcuni) che sembra abbassare, disumanizzando, l’essenza intrinsecamente umana di ogni individuo comparandola alle logiche di meri prodotti in vendita. Questa scelta sembra evidenziare il livello di bassa istruzione tipico degli outsiders di tutto il mondo globalizzato che ormai vedono nei prodotti di consumo l’unica verità rimasta. Ma lo scontro di classe si manifesta platealmente nella guerra tra le due bande rivali, i borghesi Socials e i periferici Greasers, nella contrapposizione dei modi, dei mezzi e del lessico portati in scena.
I ragazzi della 56ª strada rimane un faro nell’ambito del racconto di formazione contemporaneo, veicolando una serie di elementi e problematiche sempre attuali nelle società moderne e industrializzate; proprio le stesse che in nome del progresso e del rispetto dell’ordine scelgono di sacrificare l’umanità di chi resta ai margini a causa delle possibilità non concesse. Il monito di Coppola sembra chiaro: per capire gli ultimi bisogna indagare, empatizzare. Immergerci nel loro contesto per apprendere le problematiche sembra ancora la chiave giusta, e la sensibilità dei personaggi e delle storie può ancora guidarci verso un futuro luminoso di apprensione e comprensione. Possiamo e dobbiamo farlo. Stay golden Ponyboy!
Titolo originale: The Outsiders
Regia: Francis Ford Coppola
Interpreti: C. Thomas Howell, Ralph Macchio, Matt Dillon, Patrick Swayze, Rob Lowe, Emilio Estevez, Tom Cruise, Diane Lane, Tom Waits
Durata: 91′ (114′ director’s cut)
Origine: USA, 1983