“I Tenenbaum” di Wes Anderson


Ecco il film/sorpresa dell’anno (è un caso che esce, come un bel regalo dentro un dolcissimo uovo, a Pasqua?). Il film che gioisce delle contraddizioni. Perché è una commedia che scorre velocissima, quasi senza fiato, eppure parla di alcune persone che, a un certo punto della loro vita, si sono “fermate”. E’ una commedia ed è impostata per far ridere, eppure all’uscita dal cinema nessuno può celare una forte commozione più vicina al pianto che al riso. E’ un grido di ribellione contro l’ottusità e la violenza della famiglia, eppure chi di noi spettatori non vorrebbe, alla fine del film, partecipare, vivere e abitare in quella casa-famiglia dei Tenenbaum (magari alloggiando in un’altra tenda, in salotto…)? E’ un film i cui personaggi sono dei vincenti e dei perdenti allo stesso tempo, dei piccoli geni giovanili, tre splendidi ragazzi di successo nella culla del “self made man”, dove è “arrivare” l’unica cosa che conta, ma i tre giovani Tenebaum, Chas, Margot e Richie a un certo punto delle loro fortunate carriere si fermano, hanno un incredibile, imprevedibile e definitivo stop. E – complice un padre arraffone egoista e squinternato (un Gene Hackman da Oscar!) che ha dilapidato tutto e abbandonato la famiglia per vivere in un albergo dal quale viene cacciato dopo 30 anni – uno alla volta ritornano alla loro vecchia casa. Tre trentenni che risalgono le scale della loro casa adolescenziale, tra gli occhi sbarrati della madre (un Angelica Huston straordinariamente “sotto tono”, neppure un pizzico sopra le righe: fantastica!) che di colpo si ritrova tutta la sua famiglia (ex marito con tanto di cancro allo stomaco – così almeno dice) nuovamente a carico.
E’ la famiglia il cuore rivelatore di questo film di questo trentaduenne regista texano (con alle spalle due film “Un colpo da dilettanti” e “Rushmore”), co-sceneggiato da uno dei due fratelli Wilson (Owen, quello che interpreta il vicino Eli Cash, quello che vorrebbe far parte della famiglia senza riuscirci mai, e l’unico a riuscire a mantenere il successo pur non avendo alcun talento), due personaggi da tener d’occhio. Ma lo è come luogo di incontro/scontro/confronto tra i vari personaggi del film (come ha detto lo stesso Anderson “Sono i personaggi a fare la storia e ad impossessarsene in un certo senso”). Che sono tutti dentro/fuori la famiglia Tenenbaum, e magnificamente ricamati come elementi “forti”, appartenenti al contesto, perché la famiglia è si un luogo chiuso concentrazionario ma è anche un luogo “aperto” a avvolgente (ed ecco allora i personaggi dello psicologo Danny Glover, del marito di Margot Bill Murray, del portiere d’albergo finto dottore amico di Gene Hackman Seymour Cassel, del braccio destro di Mr.Tenenbaum, Pagoda, ecc.).
Eppure, in questa commedia frastornante, che usa il racconto con la voce fuori campo che, per non meno di venti minuti, ci immerge nel film come neppure “Ameliè”, che gioca con le musiche anni sessanta settanta (Clash, Beatles, ecc… con un‘esaltante “Hey Jude” nella lunga introduzione ai Tenenbaum) come chi sa di maneggiare un oggetto esplosivo a livello emozionale, insomma questo film ha una sua forza originale che non lo fa mai diventare parodia di qualcos’altro, né commedia classica hollywoodiana, né luogo di redenzione, né cinema demenziale, ma neppure una scatenata scorribanda alla Fratelli Farrelly.
“I Tenenbaum” alla fine è un film magnificamente tenero, che gioca sulle debolezze dei personaggi come loro effettivo, unico punto di forza, che mescola le carte sui rapporti, su quegli “attimi sfuggenti” in cui le vite a volte incorrono, e trova in una straordinaria parola, forse mai pronunciata, il suo magnifico senso vitale: “perdono”. In un’epoca in cui religioni che non contemplano questa esperienza e possibilità si stanno massacrando vicendevolmente l’urgenza di questa parola “cristiana” arriva come un magnifico fulmine a dissacrare cinismo, capitalismo “corretto”, memorie che uccidono. E una commedia soffice e pungente come “I Tenenbaum” può anche dare lezioni di morale sorprendenti. Basta saperle ascoltare con il “muscolo dei sentimenti”.