"I tre moschettieri", di Paul W.S. Anderson
Mette davvero tristezza vedere l’opera immortale di Dumas padre ridotta a classico buono per tutte le stagioni: Paul W.S. Anderson sembra non essere più quel rielaboratore di immaginari altrui capace di infondere linfa vitale ai generi, come aveva in precedenza dimostrato. Accenna brevemente a una contaminazione con la filosofia steampunk, ma si perde troppo facilmente tra scenografie digitali e un’ironia di fondo lievemente imbarazzante
L'inglese Paul W.S. Anderson è uno che non ha mai avuto nulla di nuovo da dire, ma c’è stato un tempo in cui almeno lo diceva bene. O quantomeno lo diceva in maniera accettabile: uno che saccheggiava senza timore dagli immaginari altrui, che fossero quelli zombeschi di Romero (Resident Evil) oppure quelli fantascientifici dei vari Cameron, Scott e McTiernan (Alien vs. Predator); prodotti all’insegna del grado zero dell’autorialità, certo, ma più che dignitosi proprio in virtù della loro spudorata e appassionata dipendenza da universi consolidati che trovavano, grazie a lui, una sorta di seconda vita. Più innocua, meno dirompente: ma almeno c’era, e non era cosa da poco. C’è stato addirittura un tempo in cui eravamo rimasti piacevolmente sorpresi dal suo tocco invisibile ma possente, con quell’incredibile Death Race che tanto ci aveva catturati e ammaliati, al punto da gridare a un piccolo miracolo di pura Serie B. Ma tutto questo, appunto, è stato un tempo. Perché già con l’ultimo, insostenibile Resident Evil: Afterlife il meccanismo si è come inceppato: e oggi I tre moschettieri sembra già suonare come l’epitaffio del suo cinema, senza più un immaginario forte al quale appoggiarsi, senza più un pubblico con il quale confrontarsi. Mette davvero tristezza vedere l’opera immortale di Dumas padre ridotta a classico buono per tutte le stagioni: la terza versione in soli vent’anni (dopo I tre moschettieri di Stephen Herek nel 1993 e D’Artagnan di Peter Hyams nel 2001) sembra quasi mettere alla berlina i suoi personaggi, riducendoli a misere macchiette senza spessore. Le imprese eroiche dei leggendari Athos, Porthos e Aramis qua sono solo un ricordo, annacquate in sfondi digitali che possono sì garantire la profondità dell’immagine tridimensionale, ma che annichiliscono qualsiasi forma di immedesimazione con il narrato: perché tra orribili momenti al ralenti e siparietti comici al limite dell’imbarazzante, non si riesce mai a provare quel genuino gusto per l’avventura che dovrebbe stare alla base del film. Viene quasi da rimpiangere l’innocuo kitsch hollywoodiano di La maschera di ferro, che almeno poteva vantare un’ottima scelta di attori: stavolta invece non c’è nessuno in grado di dimostrarsi all’altezza del personaggio, tranne forse Christoph Waltz/Richelieu (comunque sottoutilizzato) o l’ottimo Mads Mikkelsen, l’attore feticcio d
P.S. – Non c’entra nulla con il valore del film, ma certamente ai puristi degli scacchi non sarà sfuggito il grossolano errore nella scena in cui Richelieu gioca con Luigi XIII: quando si è sotto scacco, come noto, l’arrocco non si può fare…
Titolo originale: The three Musketeers
Regia: Paul W.S. Anderson
Interpreti: Milla Jovovich, Ray Stevenson, Orlando Bloom, Christoph Waltz, Logan Lerman, Luke Evans, Matthew MacFayden, Juno Temple
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 110'
Origine: Germania, Francia, Gran Bretagna, USA, 2011
e Milla Jovovich? nemmeno una parola su Milla Jovovich?!
in effetti è su Milla che WSA compie l'operazione più interessante all'interno di questo film che nella seconda ora si perde in inutili e bruckheimeriane baracconaggini: dopo averne fatto il soldato androgino perfetto nei Resident Evil qui le restituisce tutta l'ammaliante e irresistibile, snodata femminilità. decisamente Milady vera protagonista nascosta del film (insieme ai tompe l'oeil delle residenze regali, e anche qui non so quanto sia inconsapevole il parallelo che WSA fa tra il 3D come "abbellimento volumetrico" e le pareti dipinte e ultradecorate dei palazzi nobiliari…)