I tuffatori, di Daniele Babbo
74 minuti di letterale immersione nel fiume della città di Mostar, il quale rappresenta per i suoi cittadini e per i turisti che raccoglie da tutto il mondo, un simbolo, un emblema quasi religioso.

“Di tutto ciò che l’uomo, spinto dal suo istinto vitale, costruisce ed erige, nulla è più bello e più prezioso per me dei ponti. I ponti sono più importanti delle case, più sacri perché più utili dei templi. Appartengono a tutti e sono uguali per tutti, sempre costruiti sensatamente nel punto in cui si incrocia la maggior parte delle necessità umane, più duraturi di tutte le altre costruzioni, mai asserviti al segreto o al malvagio” scriveva nel 1963 il premio Nobel Ivo Andrić, nato nell’attuale Bosnia- Erzegovina. Ed è proprio di un ponte che si parla ne I tuffatori. Ed è proprio sullo sfondo della Bosnia- Erzegovina e della sua travagliata storia che il documentario prende forma e colore, il colore dell’acqua del fiume Narenta.
Regista di videoclip musicali per i più noti artisti del panorama contemporaneo italiano, da Calcutta ai Baustelle, Daniele Babbo (noto professionalmente anche come Dandaddy) ha infatti scelto la città di Mostar e la tradizione legata al suo ponte (lo Stari Most) per la sua opera prima, nella sezione “Italiana.doc” di questa 38esima edizione del Torino Film Festival. L’interesse è nato in seguito ad una vacanza e il regista a raccontato di aver passato molto tempo su questo progetto: “Mi hanno accettato come uno di loro, così mi sono ritrovato a raccontarli dall’interno, girando il più possibile, nel corso degli ultimi quattro anni. Mi sono apparsi così come un vero simbolo della loro città e del loro paese, uomini che portano nella loro mente e nei loro corpi i segni delle generazioni e della loro storia.”
Una tematica che ne racchiude al suo interno mille altre, con il “pretesto” degli storici tuffi dal ponte della città, ne I tuffatori si parla di attaccamento alle proprie origini, di progetti di vita, identità di un popolo e di un paese, relazioni interpersonali scaturite dallo sport e con lo scorrere dei minuti si percepisce sempre più chiaramente la sensazione che il tutto sia vissuto dai protagonisti come una sorta di vocazione mistica e religiosa. Il tuffo dal ponte oltre ad una tradizione e ad un’attrazione turistica rappresenta infatti qualcosa di molto più profondo e radicato all’interno dei cittadini della città e nel lasciar trasparire questo lato “emotivo”, Babbo centra in pieno il punto. Quello che sarebbe potuto restare estraneo allo spettatore, poiché da lui non vissuto, non interiorizzato e che quindi sarebbe rimasto “altro”, diventa invece il cardine di un opera ben calibrata fra narrazione documentaristica e drammatica.
Fare il tuffatore a Mostar è come detto prima non solo un “lavoro”, un divertimento, un dovere da cittadino. Il ponte, il fiume, l’uomo. Tutto è primordiale e viscerale nel rapporto fra questi tre elementi. I tuffatori è un inno a questa connessione fra gli umani e la loro relazione con questo atto, che da profano si tramuta in sacro. E lo spettatore viene abbracciato completamente dalle acque dopo il tuffo, poiché reso parte di questo enorme, corale momento cerimoniale, ammantato di una spiritualità invisibile ma onnipresente.