I Vampiri di Anne Rice

Con lei la figura del vampiro è diventata una creatura romantica e decadente metafora dell’infelicità umana del XX secolo. Il nostro ricordo della scrittrice scomparsa lo scorso 11 dicembre

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La regina dei vampiri e del gotico, la dark lady della letteratura, la signora delle tenebre, l’erede di Mary Shelley: tutti appellativi di cui è stata ricoperta Anne Rice nel corso della sua florida carriera da scrittrice, di certo non la prima della lunga tradizione di autrici di romanzi gotici ma comunque meritevole di aver rinnovato e modernizzato l’intero genere letterario.
Sin dagli anni ’70 si è dedicata a riportare in auge le atmosfere cupe e spettrali care agli autori dell’Ottocento. Dalle streghe ai lupi mannari, negli anni ha affrontato i maggiori archetipi dell’immaginario horror, e di quello biblico, con viaggi tra l’inferno e il paradiso; ma quella di cui più ha contribuito a espandere l’immaginario è la figura vampiriana, evolvendola oltre l’idea originale di Dracula nota fino a quel momento.
Con lei il vampiro si trasforma, si fa più moderno, diviene uno specchio ove inquadrare una società in decadimento e in procinto di affacciarsi a un mondo tecnologico più evoluto; effetto che è riuscita a ottenere senza dover rinunciare al fascino che questi contesti più dark possono ricavare solo dalla tenebra del passato.

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Rice non evita di fare domande – o meglio, di farle porre alle sue creature, che a dispetto dello stereotipo si scoprono per la prima volta sensibili e impregnate di una caratterizzazione psicologica, filosofica ed esistenziale prima difficile da identificare in figure che erano sempre state caratterizzate dalla loro mostruosità. L’autrice è partita da dove si erano fermati i grandi maestri classici – tant’è che “erede di Mary Shelley” non potrebbe essere un titolo più appropriato – per poi ampliarne considerevolmente la visione con i suoi scritti densi di letteratura, filosofia ma anche religione, tant’è che il suo è uno scenario a cui si sono rifatti tutti, scavalcando anche il confine della letteratura per arrivare al cinema e alla televisione.

Anne Rice è espirata in questo duemilaventuno  all’età di 80 anni, lasciando in eredità un immaginario di creature meravigliosamente introspettive e tormentate, struggenti e passionali, fragili e letali, immortali eppure decadenti, caratterizzate dalla persecuzione non solo dell’essere umano ma della loro stessa entità: sono innamorate della natura mortale, rimpiangendola ma rimanendo incapaci di accettarne la morte, in una visione oscura eppure romantica.
L’autrice di New Orleans non si è limitata semplicemente a inserire le figure dei vampiri nella sua storia ma ha voluto indagarne le origini, in una caratterizzazione dove niente è lasciato al caso. Compreso l’erotizzarne la figura, affermando i vampiri come persone – e mostri – lussuriosi che talvolta amano e vogliono essere amati, liberando le menti dai vincoli delle norme sociali e morali. “Vampiri non umani” sarebbe un termine più appropriato per raccontare del loro lato più sensibile mascherato da umano ma intinto di una più lontana complessità emotiva e di pensiero. Ma, nonostante questo, la profonda introspezione psicologica, l’analisi etica, la minuziosa creazione della reale atmosfera delle epoche passate e degli elementi al suo interno fanno sì che il lettore tenda a identificarsi più con il vampiro di quanto faccia con gli altri personaggi umani.
Che tutto questo adesso sembra risultare familiare, addirittura poco innovativo, è segno di quanto l’immaginario di Rice – che oggi sta per diventare il “Riceverse” – sia riuscito, quasi in punta di piedi, a inoltrarsi in profondità nel macrocosmo dei media moderni e della pop culture.

La chiave linguistica per poter comprendere la sua narrazione non sta tanto sul soffermarsi sulla semplice storia di vampiri quanto ricercare l’essenza stessa del suo operato – a partire dal suo romanzo più celebre, Intervista col Vampiro (1976), dal quale nel 1994 è stato ricavato un film omonimo diretto da Neil Jordan con Tom Cruise, Brad Pitt, Antonio Banderas, Christian Slater e Kirsten Dunst. Il romanzo fu capostipite di quello che è poi divenuto il ciclo Cronache dei Vampiri, le quali girano intorno la figura dell’affascinante immortale Lestat de Lioncourt, che nel primo capitolo era visto solo attraverso la prospettiva del tormentato vampiro Louis.
Proprio con Louis ha inizio la trasformazione della figura vampirica attuata da Rice: una sofferta analisi e introspezione sull’individuo e sul valore della vita che riporta alle problematiche essenziali del XX secolo. Louis rispecchia alla perfezione l’infelicità dell’uomo moderno che si trova impotente nella sua solitudine, emarginato per scelta dalla massa, vivendo la tragedia del non riuscire più a condividere i valori o le idee comuni.
La figura vampirica cessa di essere soltanto un simbolo di orrore e malvagità, diventando invece una creatura romantica e decadente, preservando lo spirito umano a dispetto delle capacità terribili e sovrannaturali e del fardello dell’immortalità.

Quasi un decennio dopo, con Scelti dalle Tenebre (1985), la scrittrice scombussola ancora una volta la letteratura gotica, ribaltando la prospettiva del primo romanzo in un cambio di prospettiva, dove il cattivo del racconto di Louis, afferra le redini della storia, avendo la possibilità di vivere e raccontare la sua vita da eterno protagonista (una prospettiva che oggi è ampiamente voluta). Lestat, scoperto il manoscritto dell’intervista, decide di chiarire la propria versione, partendo dalla sua prima vita mortale da giovane aristocratico francese, passando per la sua trasformazione in vampiro e proseguendo con la sua continua ricerca delle risposte che si celano dietro la sua nuova natura.
L’autrice mescola saggiamente le leggende dell’antica Gran Bretagna, Grecia ed Egitto per raccontare una storia completa sulle creature vampiriche, facendo un uso particolarmente buono del mito di Osiride e Iside – la cui esistenza ha un’affascinante somiglianza con la creazione di un vampiro – e regalando al mondo una delle più affascinanti spiegazioni all’origine di quelle che sono alcune delle creature più iconiche della cultura orrorifica e sovrannaturale popolare e inserendole talvolta in una cornice urbana.

Anche per questo è difficile relegare le opere di Rice a un unico genere: il suo lavoro si sposta dall’horror allo storico al filosofico, tutti elementi racchiusi e semplificati nel genere gotico per via di quel sogno romantico del terrore che genera al contempo sofferenza e bellezza. Ciò si può vedere in Menmoch il Diavolo (1995), in cui prendono forma le sue reinterpretazioni della relazione tra Dio e il demonio, degli scopi del paradiso e dell’inferno e del significato di varie storie bibliche; o anche in Armand il Vampiro (1998), in cui vige una perfetta, vivida rappresentazione di Parigi e della Venezia del XV secolo.

I vampiri di Anne Rice, che vivevano tematiche LGBT già negli ’70, in quanto anche esploratori della propria sessualità, e asessualità, nascono insensibili a tutti quei topoi in cui ancora era intrappolata la visione popolare, anche nel suo senso più pudico, sebbene racchiusi inconsciamente in quella che è ormai vecchia esplorazione, come l’aglio, i crocifissi o l’acqua santa. La necessità di bere sangue umano si affievolisce nei secoli, e questi nuovi vampiri – o perlomeno al suo tempo erano nuovi – hanno come maggior paura la solitudine, che li costringe ad affrontare il presente chiusi e impolverati da qualche parte nell’epoca più moderna, quando vivendo di memorie e quando impazzendo per una vita estrema in cui vige il pentimento, chiedendosi costantemente se il mondo nuovo sia solo una copia del vecchio.

La sua arte non si curò mai dell’opinione pubblica, sociale e morale, verso ciò di cui narrava – si pensi per esempio allo stravolgimento della favola de La Bella Addormentata (2013), da lei firmata con lo pseudonimo di A.N. Roquelaure e raccontata seguendo un’idea orrorifica e soprattutto erotica – abbracciando prospettive le quali hanno aperto la mente verso versioni più oscure e tormentate dell’uomo in ogni secolo, il quale segue una metamorfosi che lo porta a rivelare il proprio mostro interiore ma senza mai smettere di esaminare l’origine di quei mali.

Anne Rice è stata la scrittrice degli emarginati più diversificati, che esistono in ogni status sociale e sotto ogni forma vivente, da umano a mostro, con una visione del mondo cinica e romantica, in cui ogni espressione di sé è stata apprezzata da un vasto pubblico.

Come tante autrici che hanno intrapreso strade difficili incentrate sull’esplorazione dei generi letterari senza soffermarsi solo su uno di loro, la sua non è stata una via facile: il suo successo non esiste grazie a quello di altri, tutt’altro, specie pensando a quanto tempo dovette impiegare per trovare un editore a quello che è oggi il suo romanzo più famoso. E, come succede a tutti i visionari di un’epoca, anche Rice ha visto la propria opera sminuita per essere stata solo in anticipo sui tempi.
Ma la profondità e completezza legata ai suoi personaggi, che vivono della propria originalità e dell’unicità legata al momento storico in cui sono stati creati, ha influenzato in modo esponenziale – e su questo molti avrebbero sicuramente da ridire –  l’horror contemporaneo, conducendolo alla sua componente più umana che di fatti lo fa splendere di una luce del tutto nuova, pur non aggiungendo niente di innovativo.
Anne Rice ha lasciato un mondo incredibilmente maestoso e approfondito, e anche in assenza della loro creatrice Le Cronache dei Vampiri, che comprendono un ciclo di più di una dozzina di libri, tra cui l’ultimo uscito nel 2018 inedito in Italia, Blood Communion: A Tale of Prince Lestat, e Le streghe di Mayfar, una trilogia composta da L’ora delle streghe, Il demone incarnato e Taltos, il ritorno, i suoi cicli di opere più famose, sono destinati a perdurare, tornando a breve sullo schermo – stavolta sul piccolo – per raccontare ancora di quell’eternità che tanto ha affascinato e ispirato, nel bene e nel male, le opere vampiresche (e non) successive.

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