Ibrahimovic vs Lebron, lo sport è sempre politica

Il recente attacco del fuoriclasse del Milan alla stella dei Lakers ha riportato al centro della dibattito l’impegno civile dei grandi personaggi dello sport. Ecco il punto

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Il dibattito gira da giorni sui media: un atleta può fare politica? Oppure lo sport deve restare chiuso in una sorta di iperuranio agonistico che eviti qualunque tipo di domanda inerente il sociale? La polemica innescata in questi giorni da Zlatan Ibrahimovic sull’inopportunità per un atleta da lui ammirato, come Lebron James, di prendere parte con fermezza al discorso pubblico, riecheggia una forma di neutralità dello sport, che, nell’anno del Black Lives Matter, sembrava definitivamente sorpassata dalla Storia. Questione fondamentale negli Stati Uniti d’America, terra di quel Muhammad Ali diventato mito per le sue attività fuori dal ring, e dove da decenni è fondamentale l’impegno degli idoli sportivi, e non solo. Mentre qui in Europa, evidentemente, queste anacronistiche prese di distanza persistono e il centravanti del Milan è riuscito con la sua proverbiale arroganza a renderle manifeste.

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Ma cosa è successo esattamente? Nel corso di un’intervista rilasciata a Discovery+ Svezia per un’iniziativa Uefa, l’attaccante rossonero si è espresso a proposito dell’impegno politico di LeBron James, in prima linea nel movimento Black Lives Matter: “Sì sì mi piace molto. Quello che fa lui (LeBron) è fenomenale, però non mi piace quando le persone con qualche tipo di ‘status’ parlano di politica. Fai quello in cui sei bravo. Fai quello che fai. Io gioco a calcio perché sono il migliore nel giocare a calcio. Non faccio politica. Se fossi stato un politico, avrei fatto politica. Questo è il primo errore che le persone famose fanno quando si sentono arrivate. Per me meglio tenersi lontano da questi argomenti, e fare quello in cui si è bravi, altrimenti rischi di non farci una bella figura“. Una dichiarazione francamente sconcertante.

La risposta del Prescelto della pallacanestro naturalmente non si è fatta attendere, rilasciata nello spogliatoio al termine di una partita due giorni dopo: “Non starò mai zitto davanti alle ingiustizie, così come non mi limiterò a parlare di sport. Mi interesso della mia gente, di ingiustizie sociali, razzismo e problematiche elettorali. Io sono parte della comunità. Sono consapevole che la mia voce è molto potente e che rappresenta tante persone nel mondo, perciò continuerò a occuparmi di argomenti come il razzismo e l’uguaglianza“. Due visioni completamente opposte che, come sottolineato con pragmatismo anglosassone da un editoriale della CNN, non potevano lasciare indifferenti. Se nessun calciatore ha appoggiato le tesi del collega, molti cestisti sono invece scesi in campo (mediatico) per difendere l’operato di chi da anni si è con orgoglio dichiarato “More than an atlete“, arrivando a finanziare in completa autonomia la “I Promise School” ad Akron, in Ohio, una scuola elementare volta a fornire istruzione ai bambini provenienti da situazioni difficili. In un colorito tweet, Baron Davis, funambolico ex playmaker dei New York Knicks, si è così rivolto a Ibrahimovic: “E tu, inoltre, sei veramente stupido. Prendi quel look da Zohan e restituiscilo a Sandler, perché non ti appartiene – riferimento ad Adam Sandler, da noi omaggiato in questo speciale –. Permetti al King di dire la propria, ora fai parlare il vero Re“. Ma ancora più significativa è stata la difesa portata avanti dal centro turco dei Trail Blazers, Enes Kanter, da anni impegnato in una dura battaglia a distanza contro il presidente turco Erdogan, che ha portato addirittura all’arresto del padre: “Quando sei arrogante e non hai empatia verso gli altri, allora credi che sia giusto dire alle persone di non combattere per la giustizia. Non è la politica a dividere, ma ciò che lacera l’umanità sono le dittature e gli autoritarismi. Quando gli atleti decidono di esporsi, non lo fanno per divertimento o per attirare attenzione. È un modo per ritenere questi regimi responsabili delle loro azioni“. Ma probabilmente la migliore risposta è quella dello stesso Lebron James che ha ricordato un fatto importante, bastevole da solo a mettere la pietra tombale sulla questione. La star NBA ha infatti fatto cenno a un’intervista rilasciata da Ibrahimovic a Canal+ nel 2018, quando militava nelle fila del Manchester United. In quella circostanza l’attaccante rossonero si lamentò dell’atteggiamento carico di pregiudizio, ai limiti del razzismo, che gli veniva riservato dalla stampa svedese. Secondo lui tale ostilità era causata dalle sue origini bosniache, rese evidenti dal cognome. “Se mi fossi chiamato Andersson o Svensson, mi avrebbero difeso anche se avessi rapinato una banca”- dichiarò in quell’occasione. Nel ricordare l’episodio, James infatti non solo ha sottolineato una contraddizione di comportamenti ma ha ribadito come in questo mondo tutto sia politica. Giocare alla maniera di Ibrahimovic vuol dire farlo dalla panchina della realtà.

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