Il bacio della pantera, di Paul Schrader

Remake di una delle pietre miliari dell’horror, riesce contemporaneamente ad omaggiare il mito e a rifondarlo. Con il finale che richiama First Reformed. Domattina, ore 8.00, Iris

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Il bacio della pantera di Jacques Tourneur del 1942 è una delle pietre miliari del genere horror ed ha colonizzato l’immaginario di generazioni di cineasti proprio per la originalità di un linguaggio cinematografico tutto giocato in sottrazione. Il remake di Paul Schrader del 1982, pur andando in direzione filosofica diametralmente opposta, riesce contemporaneamente ad omaggiare il mito e a rifondarlo.

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Su uno sfondo sabbioso rosso “storariano” (il direttore della fotografia John Bailey si ispira ai riflessi onirici di Apocalypse Now) emergono dei teschi mentre le note di Putting Out Fire (musica di Giorgio Moroder con testo di David Bowie) spargono benzina sul fuoco. Il luogo rappresentato è senza tempo, uomini e animali si muovono confusamente in un territorio marziano, un grande albero domina sulla scena. Paul Schrader torna ai suoi temi preferiti: l’immaginario sessuale combattuto tra la liberazione del desiderio e la repressione per il senso di colpa, la religione come sovrastruttura che amplifica la dicotomia male/bene, il sentimento amoroso che si fa strada in maniera non convenzionale. La vergine Irena Gallier (Nastassja Kinski) parte dal Canada per New Orleans per incontrare il fratello Paul (Malcom McDowell) pastore protestante; qui subisce le attenzioni del sovraintendente dello zoo Oliver (John Heard) che vede nella giovane la sua angelica Beatrice (ispirato da un sonetto della Vita Nova). Ma il passato di Irena nasconde una segreto diabolico che trasforma l’atto d’amore in pulsione di morte (un presagio è il libro su Mishima).

Rispetto alla liturgia del corpo di American Gigolò celebrata dagli abiti firmati Armani e dalle perfette forme architettoniche degli interni, Paul Schrader fa retromarcia e descrive la forza distruttiva e rivoluzionaria dell’istinto animale. Paul e Irena albergano al loro interno un lato oscuro incestuoso che si tramuta in violenza cieca quando la fantasia sessuale si materializza in atto. Rispetto al classico di Tourneur, Schrader elimina tutta la componente psicoanalitica, rende visibile ciò che era censurato dal codice Hays e lavora intensamente sul profilmico utilizzando una città fantasma in cui la stessa architettura sembra contorcersi  tra statue mostruose, prigioni, gabbie e scale molto ripide (simili a quelle wellesiane de L’orgoglio degli Amberson).

Le due scene madri del film del 1942, quella dell’inseguimento per le strade della città e quella dell’assalto in piscina vengono riassunte in una sola: Schrader prima muove la macchina da presa in soggettiva inseguendo Alice (Annette O’Toole)  mentre fa jogging e nasconde il pericolo dietro espedienti sonori (il famoso Lewton bus effect); poi penetra all’interno della piscina e sfoga il suo talento visivo lavorando sui riflessi dell’acqua e sul campo/controcampo di preda/predatore. Non mancano momenti di orrore puro (il primo assalto alla prostituta, l’attacco della pantera a un guardiano dello zoo, la trasformazione finale) e di forte erotismo (la scena di Irena che si inoltra nel bosco nuda, la perdita della verginità) in cui è la bravura di Nastassja Kinski a impedire la deriva grottesca. All’astrazione si preferisce l’incarnazione: c’è sempre un velo di ipocrisia a nascondere le diverse identità come in una fotografia di Sheila Metzner. La preghiera durante la cena, la chiesa vuota mentre il pastore è a caccia di prostitute, le figura quasi stregonesca di Female (Ruby Dee) sono la firma di Paul Schrader sulla sua conflittuale ricerca del trascendente all’interno di una realtà contingente pesante. L’istinto della pantera va in direzione contraria a questo vettore ed è rappresentato dalla facilità di Irena e Paul di saltare verso l’alto, leggeri perché liberati dalle catene della colpa.

Paradossalmente è l’amore dantesco a riportare la pantera dentro i confini della prigione e Schrader modifica l’epilogo proprio per sottolineare una dicotomia invincibile tra sesso e sentimento. Non è un caso che il finale del film richiami quello del più recente First Reformed (2017): lì c’era un bacio che si svolgeva in una vertigine infinita hitchcockiana, qui c’è una timida carezza tra le sbarre che è la prova più alta d’amore.

 

Titolo originale: Cat People
Regia: Paul Schrader
Interpreti: Nastassja Kinski, Malcolm McDowell, John Heard, Annette O’Toole
Durata: 118′
Origine: Usa 1982
Genere: horror

 

 

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